RENZO MONTAGNOLI

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Un cavaliere e il suo re - romanzo di Bernard Cornwell

Se L’ultimo re, primo romanzo della serie, si concludeva con la battaglia che vedeva sconfitti i danesi, con l’uccisione del loro capo, il feroce Ubba, il secondo episodio si apre con la definitiva decisione dell’intrepido Uhtred di lasciare definitivamente i danesi e di mettere la sua spada al servizio del pio re sassone Alfredo. Da questa decisione, prima avventata, poi frutto di un progressivo e sempre più radicato convincimento, si dipana tutta una serie di avventure di carattere bellico culminanti in una battaglia vittoriosa di re Alfredo sugli invasori danesi, esito a cui ha contribuito in modo determinante con la sua tattica e con la sua abilità di uomo d’arme proprio Uhtred, consapevole ormai che se vuole riprendere allo zio usurpatore il possesso di Bebbanburg deve per forza restare uno delle sua gente, e non certo un nemico della stessa, quale era quando stava con i danesi, fra i quali tuttavia resta ancora qualche suo amico.
E’ innegabile che le vicende di questo personaggio di invenzione si basano tuttavia su fatti storici effettivamente avvenuti e che molti dei protagonisti sono realmente esistiti; tale circostanza offre spessore alla narrazione e permette di comprendere il lungo percorso attraverso il quale c’è stata l’unificazione di territorio e di popolazioni nell’Inghilterra.
L’autore ha indubbiamente uno stile snello e accattivante, capace di rendere in modo apprezzabile le atmosfere di un’epoca particolare, riuscendo anche a ricreare visivamente il teatro in cui si svolgono gli eventi, un po’ meno incisivo forse quando si tratta descrivere lo scontro fra due eserciti, in cui traspare il desiderio di rendere partecipe il lettore, tuttavia senza riuscirci completamente in più di una occasione. In ogni caso la narrazione riesce ampiamente ad avvincere e induce chi legge a rincorrere la trama, desideroso di scoprire gli eventi successivi, soprattutto quando si tratta dell’esito di una battaglia.

Matteotti e Mussolini - Mimmo Franzinelli

Matteotti e Mussolini sono stati due emblemi di una concezione diversa del potere, il primo convinto che il potere risieda nella volontà popolare espressa liberamente e nella democrazia, il secondo avviato a spron battuto verso logiche di dittatura, contrario a ogni confronto di opinioni e di idee diverse.
La differenza di vedute risiede evidentemente nel concetto innato in Matteotti che solo con un contrasto politico paritario il paese Italia potesse vivere le difficili fasi del dopoguerra; per Mussolini non era invece questione di dare un’impronta allo stato affinché l’Italia riuscisse ad avere prospettive economiche e sociali, ma nel suo ego smisurato non poteva che concepire l’identificazione fra la sua persona e l’intera nazione. Si trattava di posizioni sicuramente inconciliabili e in un’aula parlamentare che vedeva primeggiare il movimento fascista senza lasciare spazi all’opposizione Matteotti rappresentava l’unica voce, forte, di dissenso. A fronte di un programma che vedeva solo l’ascesa al potere assoluto di Mussolini, Matteotti contrapponeva un deciso progetto riformista ed era anche l’unica effettiva voce di una politica di opposizione, capace come un pugile di ribattere gli assalti degli avversari. Per il futuro duce divenne in breve una spina nel fianco, che tendeva a condizionarlo sempre di più e che pertanto doveva essere messa a tacere. Forse non intendeva proprio sopprimerlo , ma questo non potremo mai saperlo, forse voleva che le sue minacce fossero più concrete di un avvertimento, sta di fatto però che Matteotti finì con il soccombere non tanto politicamente, ma fisicamente.
Franzinelli nel suo bel saggio tende a togliere quell’alone di mito imputabile soprattutto alla fine violenta del politico polesano, restituendo invece la figura di un uomo di ampi meriti non strettamente legati alla sua opposizione al fascismo, che pure è già molto, ma alla sua capacità di avere una visione dell’umanità che si potrebbe definire molto avveniristica, un uomo che intendeva dare una veste di dignità ai lavoratori senza distinzioni geografiche, insomma un’idea di universalità.
Il libro parla dei rapporti fra Mussolini e Matteotti fin da quando il primo era un membro del partito socialista, il che lascia intendere che entrambi si conoscessero assai bene; proprio tale circostanza giustifica la preoccupazione del secondo per una vendetta del primo dopo il suo discorso alla Camera dei Deputati del 30 maggio 1924 con cui contestava i risultati elettorali del 6 aprile guastando così la festa del primo ormai convinto di vedere trionfare il fascismo. Assai probabilmente Mussolini la prese come la massima delle offese, ragion per cui Matteotti che, nonostante fosse solo, combatteva strenuamente, doveva essere messo a tacere, così che passarono pochi giorni e il 10 giugno scattò la vendetta.
Franzinelli va oltre la morte di Matteotti, parla delle indagini, di tutte le fasi successive a un delitto di cui ancor oggi si prova l’orrore, con una completezza di grande valore, non disgiunta da un ‘esposizione che privilegia la concretezza alla prolissità.
Da leggere, quindi.

Fumana - Paolo Malaguti

Fumana è come viene chiamata la nebbia nelle zone del Po prossimo alla sua foce. E lì certamente, soprattutto in autunno, anche per l'abbondanza d'acqua spesso stagnante, la nebbia non manca mai, ma non è questo fenomeno atmosferico il protagonista del romanzo, è solo un aspetto della natura che smorza i colori, attenua i rumori, rende difficile vedere all'intorno quando si cammina..
Fumana infatti è il nome di una femmina che, partorita con difficoltà, rimane subito orfana, perché la mamma muore e il padre fugge, non si sa dove, ma senza più ritornare. Le è rimasto un unico parente, il nonno, chiamato Petrolio, e provvede lui ad allevarla, benché inesperto; l'uomo conduce una vita povera, ma libera, andando a pescare nei numerosi canali in cui si divide il grande fiume prima di affondare nell'Adriatico e, per non lasciare sola la bimba, a cui verrà dato il nome di Fumana in quanto attratta irresistibilmente dalla nebbia, la porta con sé sul suo sandolo. Lei cresce così, pescando con la fiocina e conoscendo quel mondo così selvaggio che la circonda. Vivere prendendo pesci sembrerebbe il suo destino, ma non è così, perché lei è una predestinata, una strigossa e lì al paese, Voltascirocco, ce n'è già un'altra, la Lena, che ha votato la sua vita a curare con segni e con erbe gli altri, senza pretendere di essere pagata, accettando al più qualche omaggio in natura. E Lena insegnerà il mestiere a Fumana, vero e proprio punto di svolta del romanzo che pagina dopo pagina si fa sempre più interessante. E' così che Malaguti ci racconta la vita di una donna libera e altruista dalla sua nascita nel 1882 fino alla sua fine, tanti anni con ancor più tanti eventi, come nascite, morti, amori, guerre, sviluppo industriale, piene del Po, perdita delle tradizioni. Per lo più, almeno per quanto concerne i grandi fatti, sono cose che conosciamo già, ma che viste dagli occhi di Fumana assumono evidenze diverse, raccontano di una storia vista dal basso, dagli umili in un piccolo contesto quale è Voltascirocco, perché al di là dell'attività di guaritrice della strigossa c'è un cuore che palpita, c'è un desiderio di amore immenso di una donna che è fiera di essere libera, che trova se stessa nella natura che la circonda, nelle nebbie da cui sembrano giungere voci strane, voci di chi non c'è più. Forse è un sogno, ma Fumana non è pazza, Fumana riesce ad arrivare a una trascendenza che a pochi è riservata.
Ci sono pagine di grande bellezza in cui sembra di udire il sospiro dell'acqua, i richiami degli uccelli, il gracidio delle rane, il respiro del vento, ma soprattutto c'è lei, Fumana, un personaggio che affascina, creato abilmente dall'autore.
Il romanzo è veramente bello, per non dire stupendo, e probabilmente il migliore di quelli che ho letto scritti da Malaguti.

La montagna nel lago - Jacopo De Michelis

Non so se Montisola sia l'isola lacustre più grande d'Europa, ma quello di cui sono certo è che è un luogo molto bello, che mi è piaciuto immediatamente ancora prima di visitarlo, transitando in auto sulla strada litoranea che attraversa Sulzano, il paese sulla terraferma da cui parte il traghetto che ho poi preso per approdarvi. La si vede bene da lontano, nella parte superiore del lago d'Iseo, più imponente che ridente, un sasso scagliato da un ciclope, o meglio ancora una montagna che emerge dalle acque del lago. E La montagna nel lago è il titolo del bel romanzo giallo che ha scritto Jacopo De Michelis, 576 pagine di un ritmo quasi sempre serrato, che avvincono il lettore dalla prima all'ultima. Se la trama è più che masi convincente, non si possono che apprezzare le descrizioni del paesaggio e dell'atmosfera di questo posto, che sembra completamente isolato dal mondo. La vicenda inizia con il ritrovamento di un uomo non più giovane che era scomparso, ferito gravemente per le torture subite, ancora in vita, ma che morirà nel giro di pochi minuti, senza fornire indicazioni su chi gli ha fatto così del male. La vittima è Emilio Ercoli, il riccone del paese che si è fatto una fortuna non si sa come, più temuto che stimato, ma che sembrerebbe non avere nemici, tranne Nevio Rota, un pescatore del luogo e ovviamente i sospetti si addensano su di lui. E' per difenderlo che ritorna il figlio Pietro da Milano dove è rimasto dodici anni cercando di trovare il successo come giornalista di un grande quotidiano e invece conducendo una vita stentata e di ben poche soddisfazioni, poiché l'unico lavoro che ha trovato è stato quello di scrivere come freelance articoli per un periodico di cronaca nera. Poi la trama, ben strutturata, si sviluppa secondo un criterio logico senz'altro apprezzabile, alla vana ricerca di un altro sospetto onde sviare le indagini su Nevio Rota. E' una figura interessante Pietro, in un certo senso un fallito, pieno di debiti e che sniffa anche coca, un uomo deluso, ma che tuttavia troverà nell'indagine che svolge congiuntamente con un amico agente della polizia municipale l'occasione per il suo riscatto. Mano a mano che si procede emergono personaggi sospetti che si rivelano poi piste sbagliate, ma soprattutto si innesta un aspetto storico legato alla seconda guerra mondiale quando a Montisola, dopo l'8 settembre 1943, era giunto Junio Valerio Borghese, il famigerato comandante della Decima Mas, eleggendo la località a suo feudo personale.
Alla fine i colpi di scena si susseguono e si arriva alla verità, talmente logica che ci si chiede come mai non la si sia vista prima, ma anche quando si scoprirà l'autore del delitto c'è spazio per un'ulteriore sorpresa, che ovviamente non svelo, ma che posso definire un colpo di genio dell'autore.
Non aggiungo altro, se non la raccomandazione di leggere questo romanzo, perché merita ampiamente.

Oliva Denaro - Viola Ardone

Corrono gli anni ‘60, l'Italia, uscita distrutta della guerra, è stata ricostruita con i sacrifici e l'operosità dei suoi abitanti, comincia il famoso boom economico. Di pari passo con le migliorate condizioni di vita subentra una nuova mentalità, in cui le donne possono aspirare a essere considerate alla stregua degli uomini, ma non è così dappertutto, perché in molte zone del Sud vige ancora una concezione maschilista, in particolare quella che consente il matrimonio riparatore, del resto previsto dall'allora vigente art. 544 del Codice penale, che estingue la pena della violenza sessuale qualora il soggetto incriminato porti all'altare la vittima. La mentalità di subordinazione delle femmine è tale che è una pratica assai diffusa, eppure c'è chi si ribella, come nel caso di Franca Viola e Viola Ardone prende spunto da questa presa di coscienza per scrivere un romanzo in cui la protagonista afferma la sua personalità. E' quasi superfluo che dica che lei finirà per apparire la svergognata e tale è considerata soprattutto dalla madre (usa ripetere: la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia) che è una conservatrice estrema, mentre la ragazza troverà un insperato appoggio proprio in un uomo, nel padre, che non è il padre padrone, bensì colui che desidera solo la felicità della figlia. Sarà lui a sostenerla nella decisione di opporsi al matrimonio riparatore, un aiuto certamente non scontato, ma anche logico, perché normalmente nelle figlie spesso si rispecchiano le caratteristiche del genitore.
Oliva Denaro è un romanzo crudo, un'opera che vuole dare un'impronta ben precisa affinché, al di là del caso specifico, alle donne sia riconosciuta la loro personalità e Viola Ardone lo fa con una scrittura asciutta, senza tanti fronzoli e non potrebbe essere altrimenti, perché è vero che si tratta di un parto di fantasia, ma ci sono state tante, troppe donne che hanno subito un torto grave come Oliva Denaro e non hanno saputo, né potuto ribellarsi.
La libertà è un bene inalienabile che quando manca si deve conquistare, costi quel che costi, e che quando c'è deve essere difeso fino all'estremo.
Non ha il pathos del Treno dei bambini, ma è un romanzo eccellente, sia per il tema svolto, sia per la capacità che ha la narratrice di coinvolgere, soprattutto le donne, ma anche quegli uomini che credono che la libertà non abbia sesso, né colore della pelle.

L'ultimo re - romanzo di Bernard Cornwell

Bernard Cornwell è un noto autore di romanzi storici e che è riuscito a dare vita a quattro serie di grande successo: Le avventure di Richard Sharpe, Il romanzo di Excalibur, Alla ricerca del Santo Graal e Le cronache dei Sassoni. Il primo libro di quest'ultima è L'ultimo re e parla delle vicende del conte Uhtred da quando aveva dieci anni fino a quando ne ha venti; il riferimento al periodo storico è quello compreso fra l'866 d.C. e l'876, quindi nel primo medioevo. La trama è particolarmente avvincente, anche se intricata e complessa, e proprio per questo, e anche per non togliere il piacere di chi vorrà leggere, non aggiungo altro, limitandomi a dire che è il passaggio dalla fanciullezza all'età adulta di un predestinato al comando e al ruolo di guerriero.
La vicenda, grazie all'abilità dell'autore, è notevolmente accattivante, con tutto un susseguirsi di avventure, di scontri armati, di paesaggi ben descritti e con protagonisti che non si dimenticano facilmente e che fra l'altro sono esistiti veramente, tranne Uhtred e il capo normanno Ragnar che di fatto lo ha adottato dopo averlo catturato in una battaglia in cui è morto il padre legittimo. Qua e là nella narrazione affiorano le rovine degli edifici romani, che sembrano quasi essere le testimoni di uno scontro fra titani per impadronirsi della terra degli Angli.
L'opera ben si presta a una trasposizione cinematografica e infatti i romanzi della serie sono stati utilizzati da Netflix per la fortunata serie tv “The Last Kingdom” e per il film “The Last Kingdom: sette re devono morire”.
In questo L'ultimo re c'è anche uno spazio, breve, per una una vicenda d'amore e invece molto più presenti sono gli aspetti religiosi, con la presenza del cristianesimo ormai imperante sull'isola, contrapposto al paganesimo dei danesi invasori, paganesimo che tuttavia riaffiora, come un antico retaggio, anche nelle popolazioni locali, benché da tempo convertite.
Il romanzo mi è piaciuto e credo proprio che leggerò anche i successivi, almeno fino a quando soddisfaranno la mia curiosità e potranno costituire un piacevole e istruttivo passatempo.

La nobilissima - Luca Azzolini

Galla Placidia (Costantinopoli, 388/392 – Roma, 27 novembre 450 d.C.), figlia dell'imperatore Teodosio e della sua seconda moglie Galla. Di fatto divenne imperatrice dell'impero romano d'occidente in forza della sua qualifica di reggente del giovanissimo figlio Valentiniano III, che lei stessa pose sul trono. Visse in un periodo particolarmente turbolento della storia di Roma, una Roma ormai avviata inesorabilmente alla sua fine, in un lungo periodo di decadenza fatto di congiure, corruzione, voltafaccia e guerre non solo contro nemici esterni.
Se l'epoca richiedeva un uomo al comando dal polso fermo, ma duttile, cioè capace di piegarsi come una canna senza spezzarsi, Galla Placidia interpretò al meglio il suo ruolo, fu donna, amante, imperatrice, artefice di vittorie come il più grande degli uomini.
Luca Azzolini parla di lei con questo suo La Nobilissima, di fatto una investitura di legittima erede del padre Teodosio mentre lei era nata da poco, racconta della sua vita, tribolata come poche, destinata a un grande avvenire che lei, consapevole, cercherà di concretizzare dando il meglio di se stessa. Non ha scritto un saggio storico, ma un romanzo storico, caratterizzato da una stretta aderenza ai fatti che la videro protagonista, riuscendo a dare al lettore una visione disincantata, ma anche appassionata di una figura da vera e propria eroina.
L'ambientazione e le atmosfere sono rese al meglio, tanto che si respira l'opprimente aria di una corte dove il continuo complotto e il tradimento sono di casa; se poi consideriamo lo stile, per niente aulico, ma concreto, senza tuttavia essere povero, è possibile comprendere il motivo per cui questo romanzo riesce ad attrarre il lettore, con un crescente desiderio di conoscenza alimentato anche dal carattere avventuroso della trama.
Da leggere, quindi, senza dubbio.

Lo chiamavano Alpe Madre - Loris Giuriatti

Di Loris Giuriatti avevo già letto La tormenta di San Giovanni, di cui non ho scritto nulla, perché non mi piace stilare stroncature, dato che l' avevo trovato un lavoro tutt'altro che ben riuscito. In particolare avevo rilevato la descrizione superficiale dei protagonisti e lo stile per niente evoluto, tanto da assomigliare allo svolgimento di un tema di un alunno delle scuole elementari. Tuttavia, mi ero ripromesso di leggere qualcosa d'altro, perché un'opera infelice è sempre da mettere in conto nella produzione di uno scrittore ed ecco che allora ho deciso di dare un'ulteriore opportunità, scegliendo questo Lo chiamavano Alpe Madre. Dico subito che ho rilevato un miglioramento, tale da renderlo un romanzo sicuramente più leggibile, trovando però conferma i difetti che avevo in precedenza riscontrato.
Nel romanzo ci sono le storie, relative a epoche diverse, di un amore delicato sbocciato fra il cameriere di Francesco Giuseppe e un'italiana dama di corte della moglie dell'erede al trono agli inizi della Grande Guerra e la ricerca di una verità, relativa a questi due innamorati, da parte un gruppo di amici insediati sul Monte Grappa. La vicenda in sé si presenterebbe interessante, ma come spesso accade non bastano le idee buone, occorre essere capaci di svilupparle e qui purtroppo emergono le non eccelse capacità dell'autore. In una struttura sostanzialmente debole, con uno stile ancora una volta scolastico, i protagonisti che hanno il difetto di essere o solo buoni o solo cattivi si muovono con un certo impaccio dando luogo anche a situazioni paradossali come quella che vede, di punto in bianco, l'incontro nella terra di un nessuno di un capitano austriaco e di uno italiano, usciti dalle loro trincee per fare due chiacchiere, idea non pessima, purché fosse stata preceduta da un'adeguata preparazione, così che la conversazione dei due due fosse stata la logica conclusione di eventi precedenti. Non parliamo poi dell'ingegnoso sistema dei quadretti per comunicare nel corso della guerra fra l'ex cameriere, ora capitano, e la dama di corte, un'invenzione che mi è parsa del tutto puerile. La storia poi piano piano diventa un vero e proprio giallo, la cui soluzione tuttavia è fin troppo semplicistica. E' un peccato perché l'idea era buona, è stato lo svolgimento incapace di realizzarla. Di positivo ci sono le belle descrizione dei panorami e la difesa di un certo modo di vivere, quello dei montanari, più a portata d'uomo di quello delle pianure, pagine esposte con naturalezza e che si contrappongono a idee pacifiste del tutto retoriche e mai approfondite.
Si legge e già non è poco, ma i limiti son ben presenti e hanno il loro non trascurabile peso.

La prima indagine del giudice Petri - Gianni Simoni

Considerato che l'autore era un ex magistrato (sostituto procuratore della repubblica) mi sono detto che non era per niente improbabile che per molte delle trame dei suoi polizieschi avesse attinto alle indagini che gli erano state affidate e che quindi si trattasse di qualcosa di realistico; inoltre, la familiarità con le richieste di rinvii a giudizio, con le requisitorie avrebbero dovuto essere una garanzia per poter leggere delle prose organicamente strutturate. E invece, almeno per questo primo approccio con i lavori di questo narratore, non ho trovato niente di tutto questo, anzi ho riscontrato trame raffazzonate, un'esposizione discontinua con un linguaggio elementare che tanto mi ha fatto ricordare i temi di italiano di un ragazzino.
In conclusione, questo primo contatto si è rivelato negativo e il mio giudizio non può che essere conseguente. Tuttavia, dato che come una rondine non fa primavera, non è necessariamente detto che un romanzo pessimo debba fare considerare tale l'intera produzione, per una valutazione più completa mi riservo di esaminare almeno un altro libro di questo autore.

Waterloo - di Bernard Cornwell

18 giugno 1815, il sole di Austerlitz non brilla più da tempo e Napoleone Bonaparte non vuole rendersi conto che ha imboccato la parte discendente della parabola. Fuggito dall'isola d'Elba, l'imperatore è riuscito nuovamente a entusiasmare i francesi, facendo leva su quella “grandeur” che lui ancora riesce a rappresentare. Ma i nemici di sempre incombono, occorre armarsi e precederli, non importa se il numero degli arruolati è complessivamente inferiore a quello degli eserciti degli alleati a lui ostili, basta ripetere quella manovra che gli è sempre riuscita, dividerli e sconfiggerli uno alla volta. Onde evitare che arrivino sul teatro di guerra anche i Russi e gli Austriaci, rallentati dalle distanze, si deve per forza di cose combattere contro gli inglesi e i prussiani. La strategia è sempre quella, dividere gli avversari e sconfiggerli singolarmente, e i fatti all'inizio sembrerebbero dargli ragione con una vittoria facile sui prussiani, ma questi non sono del tutto sconfitti, tanto più che i francesi li inseguono, in quella che è una loro apparente ritirata, con una forza ridotta, che prima faticherà a localizzarli e poi combatterà a lungo con la loro retroguardia. Il vero scontro è a Waterloo, fra i francesi e gli inglesi del duca di Wellington, in una battaglia sanguinosa sempre incerta nella sua conclusione, ma i tempi dell'invincibilità napoleonica sono tramontati, l'imperatore non è più quello di un tempo, ha perso molti dei suoi preziosi marescialli e se anche arriva a un palmo della vittoria la resistenza disperata del comandante britannico consentirà ai prussiani di unirsi agli inglesi e decreterà la sconfitta della Grande Armée.
In tanti hanno scritto di questa battaglia, il cui esito ha determinato conseguenze fatali per l'Europa, ritornata agli stati divisi e conservatori di prima della Rivoluzione francese, e ognuno ha detto la sua. Ci ha provato anche Cornwell, noto autore inglese di romanzi storici. In questo caso, tuttavia, ha preferito anteporre la storia alla narrativa, con Waterloo che è l'esatta cronistoria di quanto avvenne. E' un dramma continuo, con un macello senza precedenti e migliaia di vittime (si parla di 25.000 uomini per i francesi, 20.000 per gli inglesi e 4.000 per i prussiani) e se devo essere sincero fra tanti morti, mutilati, feriti lasciati senza l'indispensabile aiuto a un certo punto mi è venuto un senso di angoscia, che non mi aveva prese leggendo La battaglia. Storia di Waterloo, uscito dalla penna di Alessandro Barbero, opera che secondo me è più riuscita. Non è che il libro di Cornwell non sia interessante, perché invece lo è, ma la differenza sta tutta nell'aver affrontato lo stesso tema con un spirito diverso; infatti Barbero ha calcato un po' meno la mano sull'orrore, pur non tacendolo, ma senza eccessi, con un distacco più da inglese che da italiano.
Waterloo è in ogni caso da leggere perché è un saggio storico completo, ma non per questo greve.

Cuore nero - Silvia Avallone

Primo approccio con la scrittura di Silvia Avallone e, ahimé, da definirsi non proprio positivo. Forse è la storia narrata in cui si dice e non si dice, forse è la ricerca da parte della narratrice di una vicenda che tutto sommato mi sembra poco plausibile, ma sta di fatto che, stile a parte, di cui poi dirò, Cuore nero non mi è piaciuto. Questa ricerca che fa la protagonista di un rifugio, di un luogo isolato in cui fare i conti con la propria esistenza e poi ricominciare ha un origine che incombe sull’opera e che si svelerà non da subito, il che secondo me invece avrebbe consentito al romanzo di prendere una piega diversa e migliore. Poi Sassaia, il posto disabitato in cui si rifugia, risulterà non proprio abbandonato da tutti, tanto da far nascere una storia con un giovane maestro, pure lui alla ricerca di solitudini. L’impressione che ho avuto è di idee un po’ confuse, di tanti ingredienti messi al fuoco, ma senza un ordine logico, tanto, anche per l’italiano spesso gergale, sono non poche le pagine che mi hanno provocato noia.
Sarò una voce fuori dal coro (a tanti è piaciuto, ha vinto dei premi), ma a me piace in tutta sincerità dire quel che penso, senza pretendere ovviamente che gli altri siano d’accordo con me.
Aggiungo che ho cercato anche di farmelo piacere, ma francamente Emilia – questo è il nome della protagonista – mi risulta un personaggio scostante, in cui non trovo note positive a cui agganciarmi per poterlo vedere in una luce diversa.

Il fuoco che ti porti dentro - Antonio Franchini

Certo è che la letteratura è piena di personaggi cattivi, figure che sembrano nate nell'impossibilità di condurre una vita normale e relazionale, spesso inseriti dagli autori per dare maggior risalto ai buoni. A freddo mi viene in mente O'Brien di 1984, quel funzionario bonaccione che si finge solidale con i ribelli, ma in effetti è un doppiogiochista. Più che cattivo il personaggio è uno che si comporta in modo cattivo e nulla vieta che in altre circostanze, al di fuori della sua missione, sia capace di intrattenere normali relazioni con il prossimo. In Il fuoco che ti porti dentro, invece, Angela, la protagonista, detesta tutti, non c'è nessuno che non sia vittima, potenziale o effettiva, della sua cattiveria; francamente è una donna impossibile e se lo dice l'autore, che è suo figlio, c'è da crederci. Premetto che questi esseri che non sono capaci di relazionarsi normalmente con altri e che sembrano odiare tutti sono cattivi senza esserne consapevoli e quindi è ancor più difficile aiutarli, raddrizzarli.
Giunto all'ultima pagina, con alti e bassi di gradimento, mi sono chiesto il motivo per il quale Antonio Franchini ha scritto questo libro, ponendo in evidenza un personaggio che è decisamente negativo.
E' forse stato il desiderio di giustificare i comportamenti della madre, o piuttosto è stato lo sfogo di un figlio che dalla genitrice non ha potuto avere quell'insegnamento che si sarebbe atteso? O piuttosto, nel delineare questa figura, assolutamente da evitare, ha forse voluto porre in evidenza i difetti dell'italica gente, che sono tutti presenti in Angela?
Franchini in verità cerca di fornire una o più risposte, come per esempio il trauma della guerra che ha vissuto da bambina, oppure la morte troppo presto del padre, con una madre invece che è defunta molto più tardi e che le ha reso difficile la vita nel periodo più delicato, che è quello dell'adolescenza, alimentando di continuo l'odio verso il prossimo, quasi volesse scaricare nella figlia – peraltro riuscendovi – quella frustrazione che l'attanagliava.
Personalmente penso che possano esistere più cause, ma la principale è che una nasce così, magari portandosi appresso quella parte negativa del DNA che Angela ha avuto dalla madre.
E' comunque apprezzabile questo ricordo, per molti aspetti doloroso, che l'autore ha della madre, perché non è da tutti mettere in piazza certi aspetti negativi, a meno che non serva a giustificare, chiedendo così implicitamente perdono.
Se Angela era portata agli eccessi, Antonio Franchini invece è misurato nell'esposizione, in cui cerca di usare una mano leggera, consapevole anche del rischio che a forza di parlare del protagonista principale si corre il rischio di farlo diventare simpatico. Ma Angela non è antipatica, né simpatica, è semplicemente così, impossibile, deleteria, tremendamente seria anche quando i suoi comportamenti hanno dei risvolti comici.
Prima ho detto dei miei alti e bassi di gradimento, e non a caso, perché pur comprendendo le difficoltà dell'autore nello scrivere questo libro la presenza continua del personaggio principale a volte mi ha un po' stancato e non a caso la parte che più ho gradito è quella di quando lui va a Milano ospite dello zio Francesco; sono alcune pagine in cui Angela è sullo sfondo, ma non domina la scena, insomma l'autore la fa un po' riposare, ma in questo modo tira un sospiro di sollievo anche il lettore.
Nel complesso Il fuoco che ti porti dentro mi è piaciuto, alla luce anche della complessità della narrazione, perché parlare di una madre così credo sia veramente molto difficile.

Fratelli nella notte - Cristiano Cavina

Cavina ha inteso mettere nero su bianco una vicenda familiare, che ha come teatro principale la fine del 1944 presso la linea Gotica, dove Mario, poco più che un ragazzo, partigiano, ferito gravemente all’addome viene salvato dal fratello maggiore che fra mille difficoltà e rischi lo porta in una villa dove verrà curato. I due non si parlavano da tempo, senza particolari motivi, ma per certo ormai si ignoravano. La trama, pur interessante, è opportunamente integrata con salti temporali all’epoca successiva, più vicina ai giorni nostri, ed è un espediente utile per chiarire i rapporti fra i due fratelli, con uno, il maggiore d’età, legato visceralmente alla terra e che si imbarca in conduzione di aziende agricole che regolarmente vanno male. Pieno di debiti, chiede in prestito dei soldi al fratello minore, che acconsente, memore della salvezza raggiunta grazie al suo soccorso.
E’ un romanzo breve e non potrebbe del resto essere più lungo visto che si narra di una particolare vicenda familiare, una storia a cui Cavina doveva tenere molto, anche perché, in un mondo rurale dove si spendono poche parole se non quelle strettamente necessarie, con individui che ignorano che cosa significhi un dialogo, qualcuno doveva pur narrare di un fatto di per sé non eclatante, ma che nel quadro generale di una guerra partigiana dava smalto al ferito e al soccorritore.
La parte migliore del libro è appunto quella dove si parla di questa fuga per la salvezza, tanto che sembra di vedere i due fratelli che arrancano nei boschi, con il più grande che porta spesso sulle spalle il più giovane, uno sforzo notevole e con il pericolo costante di essere intercettati o dai tedeschi o dalla Guardia Nazionale Repubblicana.
Quando si sposta versoi i giorni nostri predomina invece la figura del fratello maggiore, un uomo scontroso, probabilmente anche in preda all’ira per i suoi continui insuccessi, cornificatore incallito, insomma quello che non si potrebbe definire uno dei migliori soggetti, e con lui si arriverà alla fine del romanzo, che riserverà una sorpresa, che non intendo ovviamente svelare.
Fratelli nella notte non è certo un capolavoro, ma un libro onesto, un lavoro più artigianale che artistico, il che non toglie che sia di gradevole lettura.

Vegliare su di lei - Jean-Baptiste Andrea

Un uomo e una donna, con i loro sogni, lui che desidera realizzarsi con la sua arte, di cui ha un gran talento, lei che ambisce proiettarsi nel futuro, nell'uscire dalla staticità di un mondo in cui è nata e cresciuta. Viola, una nobile caratterizzata da un accentuato dinamismo, e Mimo, un nano che è un grande talento della scultura, sono i protagonisti di questo romanzo, scritto in modo accattivante, con una dose di giusta ironia, e in cui con abilità si mescolano la realtà e la fantasia. E' anche un racconto di epoche storiche che vanno dalla Grande guerra alla liberazione, passando per gli anni bui del fascismo.
Il segreto del successo di Vegliare su di lei è di parlare di amore, da quello per l'arte a quello per realizzare i propri sogni, con sullo sfondo un mondo in continua evoluzione, ma anche involuzione, visto che le belle speranze con cui si era aperto il primo conflitto mondiale si sono rapidamente estinte, soffocate dagli autoritarismi che sono stati gli strascichi più evidenti di quella guerra.
Lo stile dell'autore è quello che mi ha più sorpreso perché l'opera ha un ritmo incalzante, senza rallentamenti evidenti, supportata da quell'ironia di cui ho accennato e che finisce con il diventare lo stimolo per una riflessione del lettore.
Poi ci sono tutti gli ingredienti perché possa avvincere chi legge, perché induce alla commozione, date le caratteristiche dei due protagonisti ed è permeata da una specie di realismo magico che mi ha fatto venire in mente Cent'anni di solitudine, il più riuscito romanzo di Gabriel Garcia Marquez, da cui credo abbia tratto ispirazione.
Vegliare su di lei mi è piaciuto, come mi risulta sia stato gradito da tanti; se dovessi dare un giudizio stringato, direi che è senz'altro eccellente e considerato che la produzione attuale è per lo più di modesta levatura è cosa non da poco, tale proprio da caldeggiarne la lettura.
La trama non manca di certo di originalità, un valore notevole se rapportato alla banalità di tanti romanzi che sono editi in questi anni, i personaggi sono azzeccati, in particolare Mimo, un Michelangelo del XX secolo, ma anche l'androgina Viola, enigmatica e in continua fuga dal mondo dorato in cui è rinchiusa.
Forse non raggiunge i vertici propri del capolavoro, ma quello di cui sono certo è che Vegliare su di lei è un'indimenticabile storia di due esseri, un uomo e donna, che si cercarono sempre, reciprocamente attratti dalle loro personalità.

Il duomo racconta - Roberto Brunelli

La chiesa madre della diocesi mantovana è il Duomo, noto anche come Cattedrale di San Pietro. E' da quasi nove secoli che si affaccia su una delle più belle piazze del mondo, quasi in sordina, restando però ferma la sua centralità liturgica. Non ha certamente lo stile arioso della concattedrale di Sant'Andrea, né può ambire a raccogliere in sé folle debordanti stante la sua più ridotta dimensione, è stato frutto di successive riedificazioni e di ampi restauri tanto che non ha un'impronta artistica ben determinata, quasi fosse un arlecchino architettonico. Forse è anche per questo che non piace a molti mantovani, fra i quali il sottoscritto, e che preferiscono bearsi dell'imponenza, tuttavia per nulla greve, frutto dell'ingegno di Leon Battista Alberti, della basilica di Sant'Andrea. Ed è probabilmente per tale motivo che ho voluto accostarmi, con naturale curiosità, a questo libro sulla Cattedrale di San Pietro, onde saperne di più e conoscere un'opera che è lì da tanto di quel tempo che si può dire che ha assistito, muta testimone, alla storia della città.
La scelta, ponderata, si è rivelata giusta perché l'autore, monsignor Roberto Brunelli era un autentico esperto, un religioso che metteva passione e studio non solo nella sua vocazione, ma anche nella storia, soprattutto artistica, di Mantova.
In questo corposo volume di storia ce n'è un bel po', perché sono le vicende di un borgo quasi dalla sua nascita in avanti, abbracciando soprattutto il periodo d'oro della reggenza dei Gonzaga. In queste pagine gli anni corrono inesorabili e il Duomo è sempre lì, magari temporaneamente fuori uso per un incendio, ma immediatamente ricostruito, simbolo del potere del vescovo di Mantova, ma al tempo stesso faro religioso per gli abitanti della città.
L'opera è impostata in modo organico, per temi, così da apparire quasi di immediata consultazione; le immagini (fotografie di Toni Lodigiani) abbondano, tanto che verrebbe da dire che è inutile recarsi in Duomo a visitarlo, perché in questo modo è possibile farlo comodamente da casa. In un lasso di tempo così lungo non potevano mancare tantissime storie e infatti ci sono, così come i riferimenti all'iconografia religiosa, con tante particolarità e meglio ancora curiosità che svelano aspetti, caratteristiche, simbolismi che altrimenti forse non avremmo notato con una visita diretta.
Emerge indiscussa la conoscenza che si potrebbe definire enciclopedica di Roberto Brunelli che tuttavia non rende gravosa la lettura grazie alle ben note capacità di sintesi dell'autore.
Insomma, il libro ha il pregio di destare l'interesse anche di chi da tempo ha preferito senza indugio la Basilica di Sant'Andrea, che magari non cambierà il suo gusto, ma che di certo vedrà in nuova luce una costruzione che gli era sempre sembrata, più che buia, cupa, più che pesante, un incrocio di stili vari.
Da leggere quindi, un consiglio rivolto non solo ai mantovani, ma anche ai tanti turisti che sempre più apprezzano Mantova.

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