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Alla corte del duce - Antonio Spinosa
Un uomo che detiene un potere assoluto è sempre solo, se pur circondato da una corte di uomini e donne, ossequianti, perennemente in contrasto fra loro, e comunque sempre pronti a scalare una posizione nella gerarchia, cercando perfino di subentrare al vertice. Anche nel caso di Benito Mussolini c’era un seguito di variegati personaggi, dal cretino, ma utile Achille Starace, al tentennante e vanitoso Galeazzo Ciano, tanto per nominarne un paio, ma erano molti, molti di più; non mancavano le donne, quasi esclisivamente quelle ben disposte ad appagare l’appetito sessuale del duce, raramente opportuniste, per lo più infatuate. Tutta questa gente, che viveva all’ombra del potente, tesa continuamente a mettersi in luce, agiva sul palcoscenico come burattini i cui fili erano tenuti da Mussolini, sempre occupato a impedire che qualcuno cercasse di fargli le scarpe. Ne temeva soprattutto due: Italo Balbo, fascista della prima ora, aviatore dalle imprese titaniche, che nei primi giorni di guerra perse la vita per fuoco amico, e Dino Grandi, altro elemento di spicco, peraltro untuoso, a capo delle prime squadre di camicie nere, doppio giochista abile e che infatti lo tradì in modo perfetto in occasione della famosa riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio del 1943. E poi, per il riposo del guerriero, c’erano le donne, che riceveva quasi sempre nel suo ufficio e che possedeva frettolosamente in piedi contro il tavolo; è impossibile nominarle tutte, perché in materia l’appetito di Mussolini era veramente esagerato, ma non si può tacere la sua lunga relazione con Margherita Sarfatti nata Grassini, un’ebrea scrittrice e critica d’arte, e che tanto l’aiutò disinteressatamente, come del resto suo marito Cesare Sarfatti, ex socialista, grande penalista e amico del Duce. E sempre in tema di donne mi corre l’obbligo solo di accennare alla signora che morì con lui, Claretta Petacci. Il saggio Alla corte del Duce di Antonio Spinosa parla di questa corte, ma va anche oltre poiché torna indietro nel tempo e scrive dell’infanzia di Mussolini e degli amici dell’epoca, di cui alcuni poi lo seguiranno nella sua avventura. Puntuale, preciso e snello nella narrazione questa volta Spinosa mi ha lasciato perplesso per alcune notizie che riporta e mette in evidenza, come il fatto che Mussolini non tenesse molto alla pulizia personale o che da piccolo manifestasse un carattere violento, strappando addirittura gli occhi a un gatto che gli aveva rubato un boccone; penso però che ci sia da dar credito a queste notizie perché l’impressione che ho ricavato è che Mussolini fosse un pazzo, come testimoniato dagli occhi sbarrati dell’ultimo periodo, quello della Repubblica Sociale, espressione che gli doveva essere tuttavia abituale perchè la troviamo addirittura nella foto di copertina, scattata nel 1937 a Roma all’ippodromo di Tor di Quinto. Del resto, se si eccettuano le sue capacità giornalistiche e oratorie, resta ben poco, rimane l’immagine di un uomo in possesso di una incredibile sete di potenza, ma anche pavido, pronto a tirare il sasso e a nascondere la mano. E’ un personaggio che comunque non è facile da descrivere, così come non appare facilmente comprensibile il perché di non pochi comportamenti; eppure, Spinosa riesce bene in questo scopo, con una grande capacità di sintesi, che si può riscontrare nelle prime pagine del libro, in tre righe che riporto integralmente: “Il Duce, oltre se stesso, era una maschera che seppe tenere testa a un balletto di ombre, fino a quando non cadde il sipario, perché egli non era più in grado di reggere il ritmo incalzante della recita. Queste pagine sono come un palcoscenico sul quale lui e la sua corte recitano la parte che si sono ritagliati nella storia. Un palcoscenico in cui un ragazzotto di Predappio apparve ben presto irretito da un delirio di onnipotenza, all’inizio inconsapevole e istintivo ma che, col trascorrere degli anni, si fece sempre più assoluto come il suo regime”.
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Alla fine andrà tutto bene (e se non va bene... non è ancora la fine) - Raquel Martos
Libro fantastico, lo consiglio vivamente..! FEDERICA TADIELLO - 11 anni fa |
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Alla fine di una caramella al limone - Rachel Linden
Un libro sulle possibilità della vita e sull'importanza di trovare la gioia nel quotidiano, cercando di essere felici dove si è, con quel che si ha. RITA GIAQUINTA - 2 anni fa |
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Alla ricerca del tempo perduto - Marcel Proust
L'opera di Proust non si può giudicare, ma soltanto "gustare", come abbiamo cercato di fare noi.
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Alla vecchia maniera - Paolo Roversi
Bellissimo. Scritto in modo molto scorrevole, la storia è ben strutturata e i personaggi ben caratterizzati. E sono riuscita già ad immaginarmi il Commissario Botero alla tv! RITA GIAQUINTA - 2 anni fa |
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Alle spalle di Trieste - Fulvio Tomizza
Ho sempre stimato Fulvio Tomizza per le sue indubbie qualità di narratore, anche se la tematica ricorrente è sempre la sua terra d'origine, quell'Istria territorio di confine in cui si incontrano diverse nazionalità, a volte in pacifica coesistenza, altre invece fonti di attriti che appaiono insanabili. Peraltro, come sempre accade in un autore abbastanza prolifico, si alternano prove sicuramente riuscite, e al riguardo non si può fare a meno di ricordare lo stupendo La miglior vita, ad altre decisamente sotto tono. Nel complesso, comunque, ci si trova di fronte a uno scrittore più che eccellente, a una penna che ci ha lasciato opere che sicuramente non cadranno nell'oblio. Del Tomizza saggista non avevo conoscenza e pertanto mi sono accostato con curiosità a Alle spalle di Trieste, un libro che raccoglie numerosi articoli redatti nel corso di diversi anni e relativi appunto a quel territorio che si sviluppa dietro questa città, ultimo nostro porto a Nord sul mare Adriatico. È un ritorno agli antichi temi, a quella terra da cui l'autore è stato costretto a migrare, ma che è rimasta come una spina nel suo cuore. Alcuni potrei definirli di carattere letterario, come quando parla degli scrittori e poeti di questo vasto comprensorio, altri sono di carattere etnografico, oppure sociologico e anche politico, insomma un ampio ventaglio che ritengo che Tomizza abbia inteso proporre per meglio far conoscere agli altri, soprattutto agli italiani, i problemi di questa terra martoriata nei secoli da guerre e invasioni. Tuttavia, se anche l'offerta è ampia, si può notare la presenza di alti e bassi già riscontrabile nella sua produzione di narrativa, un po' per il lungo arco di tempo nel corso del quale sono stati scritti, un po' perché come saggista mostra diverse pecche fra le quali, fastidiosa, quella di ricorrere a frequenti digressioni, che gli fanno perdere il filo del discorso principale e che imbarazzano anche il lettore. Si tratta in buona sostanza di luci e di ombre, dove le prime sono poche e le seconde sono decisamente maggiori. Fra l'altro, sono un po' tanti gli articoli dedicati a Trieste, la sua città di adozione, e in cui lui, abituato agli ampi spazi della campagna, non si deve essere trovato mai bene, perché questo traspare dalle righe, a volte venate da un vero e proprio astio. In contrapposizione c'è uno scritto sulla Mitteleuropa che da solo merita la lettura del libro, una disamina attenta, quasi puntigliosa che è in grado di fornire una visione esatta di questa vasta regione che raggruppava soprattutto quasi tutti i territori di cui era costituito l'impero austro-ungarico e che tanto ha dato alla letteratura; si sofferma giustamente sul collante che teneva unite tante nazionalità, quel senso dello stato comune poi franato miseramente e disgregatosi del tutto con la Grande Guerra.
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Amarcord Mantova - Renzo Dall'Ara
A consigliarmi la lettura di questo libro è stata mia cugina che, nata alcuni anni prima di me, ha ritrovato nelle pagine un po´ del suo passato, perché Amarcord Mantova è una specie di autobiografia dell´autore, densa di eventi, di personaggi soprattutto locali, che per un mantovano è un piacere poter rammentare. In questo posso dire che il libro ha la chiave del suo successo, in questa memoria storica capace di raccontare con semplicità un mondo che progressivamente sempre più in pochi ricorderemo; tuttavia farei un torto a Renzo Dall´Ara se gli riconoscessi solo questi meriti, perché in realtà, grazie ai suoi molteplici interessi, anche molti non mantovani possono avere un gradimento nello scorrere le pagine che fluiscono costanti come un grande fiume, come appunto il Po che solca queste terre virgiliane.
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American Psycho - Bret Easton Ellis
Voto del Gruppo di lettura di Viadana: 7/10.
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Amiche mie - Silvia Ballestra
Libro noioso CORINNA MANARINI - 11 anni fa |
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Amore mio uccidi Garibaldi - di Isabella Bossi Fedrigotti
Forse sarà per l'età che mi porta a guardare indietro anziché in avanti, forse sarà perché le storie familiari, specie di un'epoca lontana, mi sono sempre piaciute, comunque sta di fatto che questo Amore mio uccidi Garibaldi mi ha affascinato. Di per sé può sembrare una storia come tante altre, di un periodo particolare della vita di due coniugi, ma l'epoca storica (è l'anno 1866), l'ambientazione, le atmosfere e indubbiamente la mano felice dell'autrice sono riuscite a trasformarla in un vero e proprio gioiellino. E credo che in larga parte non sia frutto d'invenzione, poiché qui Isabella Bossi Fedrigotti racconta del bisnonni paterni, vale a dire del conte Fedrigo Fedrigotti, e della principessa Leopoldina Lobkowitz, il primo un italiano di Rovereto in quel tempo ancora austriaca, la seconda boema di un nobile casato di grandi proprietà terriere. Sembra quasi che la terra unisca questi due esseri in un comune destino, ma su piani completamente diversi, perché Fedrigo è un piccolo nobile di campagna, appassionato agricoltore, ma con ben pochi mezzi finanziari, la seconda è una donna che fatica a trovare marito, pur essendo parte di una famiglia assai ricca.
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