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Un'estate - Claire Keegan
Claire Keegan
Un racconto breve ma intenso dove la protagonista è anche la narratrice in prima persona. Di lei non si conosce il nome se non i nomignoli datele da Kinsella (fiorellino).
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Come il lupo - Eraldo Baldini
In parte fiaba, in parte romanzo gotico, Come il lupo è uno di quei libri che spiazzano il lettore, ma che anche lo interessano, perché ci sono tutti gli elementi indispensabili allo scopo: una valle, la Valchiusa, isolata, se non proprio fuori dal mondo però ai suoi confini estremi, una bimba malata, ma che ha il dono della preveggenza, una donna che ricorda lo stregone del villaggio unico tenutario di una medicina antica, i lupi che popolano i boschi dell’Appennino, un maresciallo della forestale che cerca di vederci chiaro in un mistero che lo tocca direttamente, il periodo storico, gli anni ‘50, in cui l’Italia ancora non si è ripresa dalle ferite della guerra, ma che sembra incamminata verso un’epoca di benessere e di grandi stravolgimenti. Il personaggio principale è Nazario, maresciallo della Forestale, ex partigiano a cui sembra che gli crolli addosso il mondo con quel governo Scelba dalla parte dei padroni, con la moglie uccisa in una manifestazione di piazza e che gli ha lasciato una bimba diversa dalle altre, che ha un male che spaventa, l’epilessia; nei boschi ritrova se stesso, in cerca di lupi e in particolare di una femmina, Veruska, un animale sfuggente che quando sembra di poterle arrivare vicino per fotografarla scompare nel fitto della vegetazione e che gli ricorda tanto una giovane partigiana dell’est silenziosa, ma piena di ardimento nei combattimenti, sparita improvvisamente dopo che lui aveva cercato un contatto meno da compagni di lotta. Veruska donna e Veruska lupa rappresentano l’innato desiderio di libertà, quella libertà per la quale entrambe combattono e sono disposte anche a morire. E forse anche Nazario è a suo modo un lupo, solo che ancora non lo sa, perché gli manca la fiducia in se stesso. La Valchiusa è abitata da diverse famiglie, che vivono producendo un vino di grande qualità, unico al mondo, ottenuto da acini di uva rosata, attraversati da venature color rosso sangue che sembrano capillari sanguigni. Il prodotto, che ha la freschezza del bianco e la corposità del rosso ed è venduto a caro prezzo ad autentici estimatori, ha un nome strano, San Guilatrone, ma non ha niente a che fare con un santo, perché deriva dal latino sanguis latronum, cioè sangue dei ladroni; c’è infatti una leggenda che corre in quella valle secondo la quale alcuni secoli prima quattro briganti vi erano arrivati per rubare e violare le donne, ma gli abitanti li avevano fatti prigionieri, adibendoli al lavoro della macina del mulino al posto degli asini che erano morti; dopo alcuni anni, i ladroni, stremati e persa ogni speranza di ottenere la libertà, avevano chiesto di essere uccisi ed erano stati accontentati. Una leggenda, o forse no, perché qualcosa di vero ci deve essere, se dopo un violento terremoto una crepa in prossimità dei vitigni riporta alla luce uno scheletro, di cui si accorge, grazie al suo cane al seguito, proprio il maresciallo. Mi fermo, non vado oltre, perché la vicenda narrata merita di essere letta, evidenziando solo che è particolarmente avvincente. RENZO MONTAGNOLI - 10 mesi fa |
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Delatori - Mimmo Franzinelli
Chi è il delatore? Il dizionario Treccani così dice: “Chi per lucro, per vendetta personale, per servilismo verso chi comanda o per altri motivi, denuncia segretamente qualcuno presso un’autorità giudiziaria o politica, soprattutto qualora eserciti abitualmente tale attività.”. Quindi si tratterebbe di omuncoli, almeno nella maggior parte dei casi, e sono personaggi sempre esistiti, ma che fioriscono in modo incredibile durante le dittature. Delatori ci sono stati nell’Unione Sovietica, specialmente all’epoca di Stalin, nella Germania nazista e nell’Italia fascista. Poche volte questi individui sono mossi da ideali, perché prevale l’invidia e la sete di denaro; sotto le dittature sono essenziali per il regime, tanto più che presentano il vantaggio per chi comanda di poterli ricattare perché ben di rado riescono a mantenere l’anonimato. Franzinelli si occupa di questa categoria che durante il fascismo si era sviluppata in modo incredibile; ricchi e poveri, laureati e quasi analfabeti, persone in vista e sconosciuti, insomma un campionario variegato di persone di notevole bassezza morale ha aiutato la dittatura per cattiveria, per invidia e anche per il vil denaro. Il fenomeno delle delazioni scoppiò, arrivando a livelli incredibili a partire dall’anno 1926 allorché uscirono nuove leggi liberticide per chi esprimeva il suo dissenso o si lamentava dell’andazzo. I provvedimenti contro gli ebrei poi furono la classica ciliegina sulla torta, con migliaia di israeiiti oggetto di delazioni, visto che ai tradizionali motivi si aggiungeva anche quello razziale. Si segnalava anche per avanzamenti di carriera, per evitare la galera per reati comuni, per avere un trattamento di riguardo qualora arrestati per motivi politici. Il regime era contento, perché così poteva stringere il cappio intorno al collo degli oppositori e tutti vivevano in una specie di timore indotto dalla possibilità di essere oggetto di delazione. Mimmo Franzinelli scopre con questo testo un comportamento vergognoso di tanti italiani e se è vero che non pochi aiutarono gli ebrei e i partigiani, è altrettanto vero che tanti li denunciarono all’autorità di polizia.
Mimmo Franzinelli ha parlato con la consueta capacità del fenomeno dei delatori, sulla base di un vastissimo materiale che dà la misura del problema; ne è uscito un saggio di pregevole fattura, in cui viene ben descritto un tassello della nostra storia che dimostra ancora una volta, ammesso che ce ne fosse bisogno, che il fascismo non è finito il 25 aprile 1945 e che il non aver fatto i conti con il nostro passato consente di poter ricadere negli stessi errori.
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La sposa nel lago - Cocco & Magella
Scrivere un buon romanzo giallo sembra facile, ma non lo è, e infatti in queste mie letture estive che, complice soprattutto il caldo, sono di romanzi di questo genere, notoriamente meno impegnativi di altri, continuo a trovare lavori che o hanno una buona caratterizzazione dei personaggi, in assenza però di una trama convincente, oppure il contrario. Non pretendo di prendere in mano un libro di Agatha Christie, ma mi sembra logico che la fine di un’indagine coincida con la scoperta di un colpevole logico, e invece saltano fuori all’ultimo momento degli sconosciuti capri espiatori. Poi c’è il peggio del peggio, cioè un romanzo con una struttura debolissima, con una superficiale descrizione dei personaggi, con un’ambientazione appena accennata e con una atmosfera che teoricamente dovrebbe essere ricca di tensione e che invece è un lento adagio. Mi riferisco in particolare a La sposa nel lago, che fa parte peraltro di una serie. Ebbene non ricordo di aver mai letto un libro così brutto, senza capo né coda, con dei protagonisti di cui non riesci a farti un’idea e con un ritmo lento, tale da conciliare il sonno. Non aggiungo altro. RENZO MONTAGNOLI - 10 mesi fa |
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Lo scialo - Vasco Pratolini
Si deve riconoscere a Vasco Pratolini il grande merito di aver narrato la storia d’Italia della prima metà dello scorso secolo, creando trame e personaggi che ben riescono a rappresentare ciò che sono stati quegli anni. Non è un osservatore degli accadimenti di un’epoca che possa essere definito imparziale, perché l’idea politica comunista che lo anima finisce con il dare corso alle sue storie, ma se il punto di vista è marxista c’è anche una grande correttezza e sensibilità nel non esacerbare le vicende, nel descrivere i personaggi con quella punta d’affetto propria di ogni grande autore, indipendentemente dalla loro positività o negatività. Lo scialo è il secondo romanzo di una trilogia intitolata Una storia italiana e viene dopo lo stupendo Metello (il terzo è Allegoria e derisione); narra di Firenze fra le due grandi guerre e potrebbe essere definito come la parabola della piccola e media borghesia di quella città, estensibile però senza particolari problemi a quella di tutta l’Italia. E’ nata così un’opera che forse non era per corposità nelle intenzioni dell’autore, ma che lui ha sentito come necessaria, per non dire indispensabile, per descrivere, attraverso i tanti personaggi, protagonisti di vita quotidiana, dei rapporti fra il fascismo e appunto la borghesia. Ho detto che si tratta di un lavoro di consistente mole e forse sarebbe meno faticosa la lettura se l’autore avesse provveduto, in sede di stesura definitiva, a qualche opportuna sforbiciata, ma ciò non toglie che, superato lo sgomento iniziale quando ci si accorge delle tante pagine da leggere, il risultato alla fine risulta appagante.
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La costanza della ragione - Vasco Pratolini
Siamo a Firenze, nell’immediato dopo guerra, e Bruno, a cui è venuto meno il padre nel corso del conflitto, cresce fra le angosce della madre Ivana, timorosa di perderlo, come le è accaduto per il marito, e la figura, di rigorosa moralità, di Miloschi, vecchio amico del padre e che poi è diventato tutore del ragazzo. Si raccontano, nel romanzo, i primi venti anni di vita di questo giovane, con tutti i passaggi tipici del periodo, con i primi ideali e ovviamente anche i primi amori. E se ci si basasse solo su questo si potrebbe parlare solo di un tipico romanzo di formazione, ma non è da Pratolini scrivere senza proporre qualcosa di diverso e peraltro non campato in aria, perché, accanto a un atteggiamento dei suoi vecchi che si lasciano travolgere dalla vita, con una atavica rassegnazione, incapaci di reagire, lui, Bruno, cerca di continuo una risposta logica alle sue inquietudini giovanili, anche per non affondare nel grigiore quotidiano di chi è più avanti negli anni e che, senza sentirsi uno sconfitto, non ha però più voglia di combattere.
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Metello - Vasco Pratolini
La boje, vale a dire bolle, era parte del motto che i contadini adottarono in occasione della rivolta popolare del periodo 1882 – 1885. Nel caso di Metello, invece, si tratta del primo grande sciopero degli edili avvenuto più tardi, nel 1901, ma in ogni caso si trova pure in questa occasione l’esasperazione di lavoratori quasi alla fame che, prendendo piano piano coscienza dei loro diritti, rivendicano, in uno con un congruo aumento salariale, il riconoscimento della propria dignità di uomini.
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L'abate Roys e il fatto innominabile - Fulvio Tomizza
Fulvio Tomizza è un narratore di particolare spessore e mi ha incantato con romanzi stupendi fra i quali cito soprattutto La quinta stagione, Materada, La miglior vita e Franziska. Sostanzialmente è uno di quegli autori che, legato alla propria terra d'origine, ne ripercorre la storia, soprattutto quella del XX secolo e solo raramente si avventura in epoche di molto precedenti. Con L'abate Roys e il fatto innominabile si porta nel XVI secolo, in luoghi ben diversi dai suoi soliti, anche se abbastanza prossimi e con una vicenda che parte da un fatto reale tutto sommato non di particolare rilievo, ma che comunque può interessare per le sue peculiarità. Si tratta quindi una storia antica, di un contrasto protratto nel tempo fra due ecclesiastici. In breve di seguito riporto alcuni cenni che danno indicazioni sulla trama.
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La visitatrice - Fulvio Tomizza
Fulvio Tomizza venne a mancare nel 1999 e le sue ultime due opere La visitatrice e Il sogno dalmata vennero pubblicate postume, rispettivamente nel 2000 e nel 2001. Entrambe, pertanto, costituisco l’ultima fatica letteraria dell’autore e sono quindi frutto della sua consapevolezza dei traguardi già raggiunti, allorché, avanti con gli anni, è quasi un destino narrare i propri ricordi. In particolare La visitatrice sembra maggiormente il romanzo con cui Tomizza si è interrogato sul suo passato, in cui mi pare spicchi quel naturale rimpianto per le occasioni sfumate, per le opportunità lasciate sfuggire, con la consapevolezza che quella stagione è ormai del tutto andata. Non si tratta di una vera e propria autobiografia, ma di tracce di memoria che vengono a comporre nel loro insieme una vicenda probabilmente di fantasia, ma con un fondo di verità. Il protagonista è un anziano commerciante, assai malato, ma della cui gravità la moglie e la figlia non sono del tutto coscienti; Emilio, così si chiama l’uomo, accompagna le due donne alla stazione ferroviaria da cui prenderanno il treno per Bologna per andare da dei parenti e per fare acquisti legati alle imminenti nozze della giovane. Una volta partite, l’uomo tornerà a casa con l’autobus, seguito da una donna che sembra voler fare la stessa strada, e che in effetti farà, accompagnandolo fin dentro al suo appartamento e rivelandogli di essere sua figlia. Lo sarà? Poco importa nell’economia del racconto, perché questa rivelazione è l’occasione per riscoprire i fantasmi della propria gioventù, è l’innesco per l’esplosiva rivelazione a se stesso che altro e più appagante era un certo amore, forse non piatto come quello derivante dall’attuale matrimonio. E’ tutto un mondo che riemerge dalle nebbie, una testimonianza di una vita un tempo veramente vissuta che solo nella mente di un uomo stanco e ammalato, prossimo alla sua fine, può dare un senso a un’intera esistenza.
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Il sogno dalmata - Fulvio Tomizza
È indubbio che Tomizza possa essere considerato uno scrittore di frontiera e come tale si é adoperato nei suoi libri per descrivere la vita, per nulla tranquilla, degli abitanti dell'Istria, trapiantati qui nel XVII secolo dalla Dalmazia e dall'Albania, quasi un regalo della Serenissima che, oltre a sottrarre all'influenza turca quelle popolazioni, trovò il modo di non renderle parte integrante della Repubblica, facendo balenare il sogno di una terra in cui avrebbero finalmente potuto stare senza alcun patema d'animo. Il terreno è brullo, richiede immani sforzi per cavarne qualche cosa di che vivere, ma i nuovi arrivati non si danno per vinti in partenza, si danno invece da fare e poco a poco quella landa inospitale diventa una zona in cui poter finalmente piantare le radici. Ma la zona è di periferia, soggetta a non infrequenti invasioni e anche il padrone ogni tanto passa di mano, con l'impero asburgico succeduto alla repubblica veneta, e a sua volta seguito dall'occupazione italiana. Tutte esperienze che presentano aspetti positivi e negativi, non come quella solo negativa che si ha finita la seconda guerra mondiale, allorché Tito impone la sua lingua e la sua illiberale visione politica.
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