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Roma ; Bari : Laterza, 2010
Abstract: Non appena in Occidente si sparse la voce della prossima uscita della flotta turca, papa Pio V decise che quella era l'occasione buona per realizzare un progetto che sognava da tempo: l'unione delle potenze cristiane per affrontare gli infedeli in mare con forze schiaccianti, e mettere fine una volta per tutte alla minaccia che gravava sulla Cristianità. Quando divenne sempre più evidente che la tempesta era destinata a scaricarsi su Cipro, il vecchio inquisitore divenuto pontefice, persecutore accanito di ebrei ed eretici, volle affrettare i tempi. È la primavera del 1570. Un anno e mezzo dopo, il 7 ottobre 1571, l'Europa cristiana infligge ai turchi una sconfitta catastrofica. Ma la vera vittoria cattolica non si celebra sul campo di battaglia né si misura in terre conquistate. L'importanza di Lepanto è nel suo enorme impatto emotivo quando, in un profluvio di instant books, relazioni, memorie, orazioni, poesie e incisioni, la sua fama travolge ogni angolo d'Europa. Questo libro non è l'ennesima storia di quella giornata. È un arazzo dell'anno e mezzo che la precedette. La sua trama è fatta degli umori, gli intrecci diplomatici, le canzoni cantate dagli eserciti, i pregiudizi che alimentavano entrambi i fronti, la tecnologia della guerra, di cosa pensavano i turchi dei cristiani e viceversa.
Moderators: Valentina Tosi
6 novembre 2024 alle 15:56
Nel corso del XVI secolo l'impero ottomano raggiunse la sua massima espansione; al riguardo basti pensare che sotto Solimano il Magnifico la Sublime Porta, nome con cui era più conosciuta all'epoca la potenza turca, si spinse fino alle porte di Vienna, senza riuscire tuttavia a impadronirsene, ma assoggettando l'Ungheria e tutti gli stati slavi. La politica di continua conquista di nuovi territori fu sempre una prerogativa dei sultani che si avvicendavano sul trono a partire dal XIV secolo e così anche il figlio di Solimano, Selim II, succeduto al padre senza essere il primogenito e grazie all'uccisione degli altri fratelli, per quanto considerato un debole e un depravato, intese proseguire negli ampliamenti territoriali e a farne per prima le spese fu Cipro, di proprietà sì dell'impero ottomano, ma affittata ai veneziani. Fu così che, senza un preavviso di sfratto, le truppe turche sbarcarono nell'isola, mettendola a ferro e fuoco ed entrando dopo 45 giorni di assedio a Nicosia. Restava, però, ancora in mani veneziane Famagosta, ma anche questa, nonostante una difesa eroica, cadde e il suo comandante, Marcantonio Bragadin, malgrado che l'atto di resa prevedesse salva la vita per tutti, fu orribilmente scorticato vivo.
Alla notizia dello sbarco degli ottomani a Cipro Venezia non poteva restare inerte, come disinteressati non potevano essere gli stati del Mediterraneo, perché era evidente che la minaccia di essere conquistati si rafforzava ogni giorno di più, così si ideò una spedizione con navi veneziane, del re di Spagna, dello Stato Pontificio al fine di contrastare questo tentativo di impadronirsi del Mediterraneo e con esso dei suoi traffici. Ma fra disaccordi di gestione sull'azione da intraprendere, picche e ripicche non si arrivò a uno scontro con la grande flotta ottomana. Era il 1570 e il naviglio ritornò ai propri porti, tentando, almeno la Serenissima, di arrivare a un accordo di pace con il Sultano. Le intenzioni di questo, tuttavia, come del resto di alcuni alleati, erano ben altre e così, dopo non poche difficili trattative, si arrivò nel 1571 a costituire, sotto l'egida di Papa Pio V, una Lega Santa a cui parteciparono il Granducato di Toscana, il Ducato di Savoia, i Cavalieri di Malta, la Repubblica di Genova, lo stato pontificio, l'impero spagnolo, con i Regni di Napoli e di Sicilia, e la Repubblica di Venezia. Si allestì una poderosa e agguerrita flotta costituita da 204 galee e 6 galeazze, con 28.000 soldati, circa 13.000 marinai e un gran numero di rematori, stimati in 43.000; la potenza di fuoco di questa armata marittima era assai notevole, rappresentata da circa 1.800 cannoni, di eccellente fattura, molti dei quali di grosso calibro. L'impero ottomano poteva opporre 216 galee, 64 galeotte e 64 fuste, un numero quindi superiore, ma lo stato di manutenzione di queste imbarcazioni era spesso inferiore a quello del naviglio avversario che, fra l'altro, era anche più moderno; sulle navi della Sublime Porta erano imbarcati 34.000 soldati, pochi con archibugio, a differenza degli avversari, 13.000 marinai, 41.000 rematori e solo 750 cannoni, soprattutto di piccolo calibro. Al comando alla Lega Santa era Don Giovanni d'Austria, a quello della flotta ottomana Alì Pascià. Lo scontro avvenne il 7 ottobre 1571 nelle acque antistanti la cittadina greca di Lepanto e, dopo alterne vicende e rovesciamenti di fronte, si concluse con una grande vittoria della Lega Santa, che affondò e catturò circa 189 navi nemiche, contro la perdita di soli 17 suoi vascelli; tanti furono gli schiavi catturati e i soldati uccisi e fra questi il comandante in capo Alì Pascià. Se si pensa che con questo grande successo si riuscì a porre freno all'espansionismo turco ci si sbaglia di grosso, poiché continuarono le conquiste in terraferma e anche in mare, per quanto limitate a isole geograficamente greche, come Creta, oppure all'Africa settentrionale, come la Tunisia. Invece fu una battuta d'arresto per la marina turca, da cui non riuscì più a risollevarsi e, soprattutto, il successo della Lega Santa ebbe un valore simbolico più grande di quello bellico, sia perché in tanti anni era la prima grossa sconfitta patita dagli ottomani, sia perché questi rinunciarono per sempre a dominare su tutto il Mediterraneo. Benché la flotta fosse stata ricostruita in un solo anno, i vascelli risultavano inferiori come qualità e armi in dotazione a quelli della Cristianità e se anche serpeggiava un naturale desiderio di riscatto e di rivincita, questo non avvenne, perché gli esiti drammatici di quello scontro avevano incrinato la sicurezza degli ottomani; a ciò aggiungasi che la Lega Santa fu rapidamente sciolta, anche per la morte del Papa che l'aveva così tanto sostenuta, venendo quindi a mancare in ogni caso l'avversario di prestigio per una nuova grande battaglia navale.
Ecco, di questo conflitto, dei prodromi, della battaglia navale vera e propria, e delle sue conseguenze parla in questo libro Alessandro Barbero, con quella sua particolare capacità di avvincere gradualmente il lettore e di renderlo quasi presente ai fatti; non manca la sottile vena ironica che caratterizza lo storico piemontese, vena che alleggerisce il racconto ed è capace anche di sfumare fatti tragici e morti orrende.
Lepanto è uno di quei libri che, benché assai lungo (ma molte pagine sono destinate alle corpose fonti bibliografiche, alle note e all'appendice), riesce a non stancare mai, a continuamente interessare chi, con vero piacere, lo sta leggendo.
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