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Le pietre di Pantalica
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Consolo, Vincenzo <1933-2012>

Le pietre di Pantalica

Milano : A. Mondadori, [1988]

Moderators: Valentina Tosi

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La Sicilia, terra dai profondi contrasti, costituisce indubbiamente un’alcova, una culla, un rifugio sicuro a cui tornare dopo che per svariati motivi - ma quasi esclusivamente legati al lavoro - si è dovuta lasciare. Una chiara testimonianza di ciò si ha con uno dei suoi maggiori geni letterari, quel Giuseppe Bonaviri che, diventato medico cardiologo, esercitò la professione nel Lazio, ma sempre con il pensiero rivolto alla natia Mineo. Non è diverso il caso di Vincenzo Consolo, trapiantato il Lombardia, ma comunque sempre legato alla sua terra, con la presenza costante della tristezza per averla lasciata. Credo che più delle mie parole valgano le sue, tratte da Le pietre di Pantàlica (Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.). Ed è forse questa condizione esistenziale che spinge a scrivere in un certo modo, a rivisitare in narrativa i cari luoghi che si sono lasciati. Le pietre di Pantàlica, questa raccolta di 14 racconti, ben rappresenta quella che è l’immagine del suo autore. Il lettore viene così a conoscere una Sicilia che tanto può ricordare certe novelle di Verga, con una ricchezza di personaggi dai nomi e soprattutto dai soprannomi che entrano indelebilmente nel nostro patrimonio di memoria come se fossimo noi ad averli conosciuti direttamente, e invece ci sono stati proposti da questo narratore che con uno stile altamente letterario li descrive come escono direttamente dal suo cuore, gente che spesso non c’è più, ma che sembra perennemente vivente, tanta è la vitalità che Consolo ha saputo imprimere alle sue creature. Ci sono descritti i più svariati personaggi, dal famoso fotografo Capa lanciato con il paracadute sull’isola dagli Angloamericani nel 1943 per documentare la conquista della Sicilia al frate mentecatto Agrippino Salerno, che esaurisce intensamente la sua fede religiosa in uno spirito di autodistruzione; sono presenti anche noti personaggi siciliani, fra i quali un Leonardo Sciascia che gusta grosse sigarette americane. E questi sono, ovviamente in parte, i protagonisti, e poi c’è la natura, con la descrizioni dei paesaggi che sembrano pennellate tracciate con mano ferma e forte sulla tela, come non pochi quadri di pittori espressionisti. Questo è già molto, per non dire tanto e più che bastevole per definire l’elevata qualità dell’opera, ma non è possibile dimenticare la capacità di descrivere gli aspri contrasti, ma senza violenza, con il cuore in mano; del resto la sua è una terra in cui sottomissione e potere sono le due facce di una stessa moneta, ma dove è nato ed è diventato uomo ed è per questo che prova uno sconfinato amore per la sua Sicilia, anche perché lì, nonostante il trascorrere degli anni e il progresso che vi si è affacciato, il tempo sembra immobile, tanto che è possibile ritrovare le atmosfere e i profumi della giovinezza.
Da leggere.

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