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Priuli & Verlucca, 2019
Abstract: I temi ricorrenti, le passioni di Nuto Revelli, riguardano la storia vista dal basso, vissuta in prima persona e testimoniata, sia in guerra sia nel mondo contadino, soprattutto quello delle colline e delle montagne del Cuneese. Dalla difesa del mondo dei vinti traspare anche un'attenzione indignata e dolente per l'abbandono di tanti borghi, la devastazione ambientale, la scomparsa di competenze e memorie. Le opere di Revelli sono un invito a non cadere nell'indifferenza, a respingere il conformismo e la prepotenza; sono uno sprone a restare sempre «ribelli per giusta causa», per la giustizia e per la libertà. Ci restano i suoi libri, le sue parole e il suo esempio.
Moderators: Valentina Tosi
6 luglio 2023 alle 07:27
Quel che apprezzo sempre di più negli scritti di questo autore, oltre alla passione che affiora qua e là, è la capacità di parlare di un altro scrittore e delle sue opere in modo semplice, accattivante, ma non per questo non esauriente. Se uno vuole sapere chi fosse Mario Rigoni Stern, quale importanza ha rivestito in campo letterario non deve far altro che sfogliare uno dei numerosi lavori di Mendicino sul narratore di Asiago, certo che passerà poi inevitabilmente a leggerne i libri.
Appassionato di montagna, di quel mondo e di quelle genti che la abitano, Mendicino riesce a calarsi perfettamente negli autori di cui scrive e ciò si può anche riscontrare nella sua biografia di Nuto Revelli, scrittore piemontese che ha vissuto come Stern la tragica esperienza della ritirata in terra di Russia. I punti di unione fra questo narratore e Mario Rigoni Stern sono tuttavia di più, perché sono accomunati dalla passione per i luoghi di origine, per quelle montagne su cui hanno compiuto tante escursioni e per le genti che le abitano, montanari abituati al duro lavoro poco remunerativo, spesso taciturni, diffidenti con gli estranei, ma che, quando cominciano a conoscere chi si avvicina a loro e a prendere fiducia, aprono completamente i loro cuori.
Nuto Revelli, a differenza di Rigoni Stern a cui con l’armistizio dell’8 settembre 1943 si sono aperte le porte di un lager tedesco, è riuscito invece a non farsi catturare ed è diventato uno dei primi partigiani, facendosi apprezzare per rettitudine, capacità di comando e virtù militari, tanto da diventare uno dei capi della Resistenza. Entrambi, come moltissimi italiani, prima della drammatica esperienza della guerra erano fascisti, ma poi hanno capito che quel regime non era altro che apparenze senza sostanza e la maturazione conseguente ha portato uno al rifiuto di riprendere le armi per una causa sbagliata e persa, preferendo la sofferta esperienza del lager, mentre l’altro a imbracciare il mitra per un riscatto, per la difesa di un popolo dall’oppressore tedesco e dal suo servo fascista.
Revelli spiega molto bene questo cambiamento con La guerra dei poveri, opera nella quale c’è la riscoperta del semplice valore umano.
Tuttavia, sarebbe riduttivo pensare che lo scrittore cuneese si limitasse alla memorialistica, perché i suoi interessi vanno ad approfondimenti delle cause della guerra e allo studio della condizione, senza speranza, delle genti delle sue montagne.
E’ forse proprio con queste indagini della vita dei montanari che la figura di Revelli assume una particolare importanza che va oltre il campo letterario, ma che si fionda in quello sociologico, fornendo un ritratto di una esistenza contadina in montagna nel suo crepuscolo, perché i giovani migrano verso le città, a lavorare in fabbrica, a condurre una grigia esistenza in un condominio.
Puntuale Mendicino ha posto in risalto questo importante aspetto della produzione di Revelli, un uomo che dopo essersi diplomato geometra, aveva avviato la carriera militare, passando dall’Accademia di Modena, ma che ha poi trovato la sua via, un senso da dare alla vita grazie ai drammatici giorni di una fuga disperata nella neve e nel freddo.
Da leggere, senz’altro.
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