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Torino : Einaudi, 1980
Moderators: Valentina Tosi
20 maggio 2023 alle 06:58
Nel corso della seconda guerra mondiale la nostra spedizione in Russia a fianco dell’alleato tedesco si concluse tragicamente con una ritirata; in mezzo alla neve e a un freddo polare i nostri soldati patirono le pene dell’inferno e tanti morirono lungo il tragitto, mentre pochi riuscirono a ritornare a casa; altri, catturati dai russi, iniziarono invece un percorso di immani sofferenze che ne falcidiò una buona parte e solo un numero veramente esiguo poté tornare in patria nei mesi successivi alla fine del conflitto.
Nuto Revelli, che visse l’esperienza della ritirata riuscendo a tornare a casa per poi diventare partigiano dopo l’8 settembre del 1943 e che della sua esperienza scrisse un diario (Mai tardi) volle dar voce ai superstiti dei gulag sovietici, intervistandone tanti e riunendo queste testimonianze in questo libro, La strada del davai, dove “davai” vuol dire vai avanti ed era ciò che le guardie russe gridavano agli italiani prigionieri che in lunghe marce forzate cercavano di arrivare alle stazione dove li attendevano i treni per portarli nei campi di concentramento in Siberia.
Ci sono pertanto tante storie quanti sono gli intervistati e nella sostanza si assomigliano un po’ tutte, visto il comune destino; quel che varia però sono i singoli accadimenti e il modo di vedere quanto accaduto da parte degli interessati.
Si tratta di voci che parlano di fame, di membra congelate, di corpi trascinati nella neve, di morti lasciati lungo il cammino, di tanti che decedevano ogni giorni nei carri bestiame che portavano i prigionieri ai gulag. Quindi ciò che sostanzialmente fa la differenza è il punto di vista di questi attori loro malgrado; tutti però concordano sulla straordinaria disponibilità del popolo russo, sempre pronto ad aiutare i nostri e sull’assenza di malvagità delle guardie dei campi di concentramento, circostanze non da poco visto che noi eravamo i nemici.
Per completare le testimonianze della tragica ritirata c’è nel volume una seconda e ultima parte, più contenuta, dedicata a quelli che, come l’autore, sono riusciti a uscire dalla sacca in cui erano stati rinchiusi dalle truppe sovietiche. Benché si possa parlare di fortunati, anche per loro si è trattato di un’esperienza devastante, di cui porteranno il segno tutta la vita.
Il lavoro di Revelli non deve essere stato proprio facile, perché si è trattato di collazionare i risultati di tante interviste, ma per ognuna quel narrare della propria esperienza in prima persona finisce con il coinvolgere il lettore che ritrae l’impressione di avere davanti il narratore, arrivando in alcuni casi a percepire quella sofferenza che ancora riemerge a distanza di diversi anni e che non è solo per quella patita direttamente, ma anche per gli amici, per i tanti che non ce l’hanno fatta e sono rimasti sepolti in terra russa.
Imperdibile.
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