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Mai tardi
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Revelli, Nuto <1919-2004>

Mai tardi

Torino : Einaudi, c1989

Abstract: Questo diario racconta giorno per giorno l'odissea degli alpini della «Tridentina» in Russia, sino alla tragica conclusione della ritirata. Molte pagine da allora sono state scritte su quell'evento, ma le annotazioni scarne che Nuto Revelli ha affidato al suo taccuino continuano a costituire una testimonianza viva e indimenticabile. Cronaca autentica di una delle pagine piú terribili della guerra fascista, il libro traccia anche la storia di una esperienza individuale che riflette una svolta decisiva nella storia di tutti gli italiani.

Moderators: Valentina Tosi

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Nuto Revelli, uscito dall’Accademia Militare di Modena con il grado di sottotenente, assegnato alla fanteria nel corpo degli Alpini, nel 1942 partì volontario per il fronte russo con la Seconda Divisione Alpina Tridentina, inquadrato nel battaglione “Tirano” del 5° reggimento alpini. Già sulla tradotta per raggiungere i campi di battaglia cominciò a dubitare delle tronfie parole e delle promesse del fascismo, scoprì quanto il nostro alleato tedesco ci disprezzasse, ebbe modo di vedere la triste sorte degli ebrei. Di questi giorni di viaggio, della permanenza in prima linea e della lunga tragica ritirata conservò un diario pressoché giornaliero, scritto con calligrafia minutissima onde risparmiare spazio. A differenza del Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern che racconta dello stesso periodo di tempo e dei medesimi luoghi ed eventi, ma in forma di romanzo, pur conservando i fatti nell’esatto accadimento, il diario è naturalmente più succinto, ma anche più immediato, con i periodi snocciolati a raffica che mostrano l’atroce realtà delle cose, senza lasciare spazio a interpretazioni e a riflessioni, solo ciò di cui Revelli fu testimone, una cronaca tesa, asciutta che riesce a rendere con grande efficacia la tragedia di quei giorni. Proprio per questo, appunto perché è una cronaca dei fatti, è di grande impatto sul lettore che vive le continue delusioni per la disorganizzazione del nostro esercito, per le ruberie pressoché istituzionalizzate, per l’incapacità di molti dei comandanti, per la retorica che prevale pressoché sempre sulla logica. Ne esce un quadro aspro, dolente, monta nel lettore la stessa rabbia che doveva aver provato Revelli, unita alla delusione per essersi accorto di aver sempre vissuto prima nella menzogna imposta da un regime in disfacimento.
Soprattutto la ritirata nella neve, con un freddo polare, fa diventare i superstiti, il cui numero si assottiglia sempre di più, dei dannati che si aggirano in un girone dantesco, in una bolgia in cui le colonne degli sbandati si ostacolano a vicenda e dove resiste ormai in pochi l’umana pietà. E’ un si salvi chi può in una marcia che lascia dietro di sé veicoli incidentati, armi e zaini, corpi e anche morenti, a cui non è possibile prestare il minimo soccorso.
In questo quadro è inevitabile che non si creda più al fascismo, lo si consideri colpevole dello sfacelo, si comincino a odiare i profittatori che sono presenti anche in quei tragici giorni, monti un odio implacabile nei confronti dei tedeschi, che considerano i nostri soldati semplicemente dei servi, nei cui confronti usare a piacimento tante prepotenze.
Nuto Revelli riuscirà a uscire dalla sacca in cui lui e gli altri erano accerchiati, tornerà in Italia e già nel 1946, a guerra finita e dopo un’esperienza di grande Partigianato, prenderà di nuovo in mano questo diario e lo farà pubblicare con il titolo Mai tardi Diario di un alpino in Russia, perché tutti, soprattutto quelli che non c’erano, non solo potessero, ma dovessero sapere.
Da leggere.

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