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Il cappotto di astrakan
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Chiara, Piero <1913-1986>

Il cappotto di astrakan

Mondadori, 2020

Moderators: Valentina Tosi

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L’anno è il 1950 e un italiano di quarant’anni arriva a Parigi, con lo scopo di trascorrervi un tempo non predeterminato e magari di poter imprimere una svolta decisiva alla propria vita, nonché per non essere da meno di alcuni suoi compaesani che vi hanno soggiornato e che di questa permanenza raccontano al caffè del paese. Dopo un breve periodo in un alberghetto trova una camera presso la vedova Lenormand a un prezzo irrisorio, a particolari condizioni, quali non portare ospiti, non spostare nulla di quello lasciato dal precedente abitante e sopportare la presenza ostile del gatto Domitien. Nel corso delle sue escursioni parigine ha modo di conoscere una ragazza, Valentine, con cui allaccia una relazione. Quando non è a zonzo per le vie della città si diverte a leggere i numerosi libri della biblioteca presente nella camera ammobiliata e in particolare alcuni scritti non molto chiari presumibilmente di chi lì l’ha preceduto. La vedova Lenormand, personaggio d’altri tempi e di struttura ampiamente robusta, gli racconta di avere un figlio, Maurice, che gli somiglia moltissimo, fuggito in Indocina con una giovane di quel paese; dato che l’inverno è prossimo e comincia a far freddo gli dona un cappotto di astrakan che era stato in precedenza del figlio. Non vado oltre, perché la trama, sebbene non gialla, merita di non essere completamente svelata, presentando certi eventi che danno una svolta a una vicenda fino a lì nel complesso non particolarmente originale, ma nemmeno banale.
A prima vista si potrebbe pensare a un racconto autobiografico, visto che il protagonista proviene da Luino, che c’è la citazione del caffè del paese con i frequentatori dediti al gioco del biliardo, che si parla di una precedente visita, per quanto da internato in Svizzera, ma così non è, atteso che lo stesso Chiara alla fine del romanzo precisa che è da escludere una sua partecipazione ai fatti narrati. Personalmente credo che invece, sia pure un po’ camuffata, ci sia la personalità dell’autore in un’opera all’apparenza di poco conto, ma che presenta più piani di lettura. Il desiderio di evasione dalla quieta e monotona vita di paese verso la grande città è un’aspirazione plausibile, come quella di lasciarsi condurre per mano dal fato, con quella ineluttabilità degli eventi che scandiscono la vita di ognuno di noi. Inoltre c’è anche l’impossibilità di opporsi al proprio destino, con il protagonista che è e resterà un provinciale, magari con l’ebrezza di un salto in un mondo molto diverso dal suo, ma con l’inevitabile ritorno alle proprie radici, dove condurre un’esistenza senza scossoni, in un grigio che anziché deprimere finisce con il confortare.
Quindi, sotto un’apparenza dimessa si cela un’opera di notevole livello, scritta in modo impeccabile e di facile e assai gradevole lettura.

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