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Einaudi, 2022
Abstract: Dicono che per vivere felici si debba trovare il proprio posto nel mondo: molti di noi passano la vita a cercarlo, per altri è questione di un attimo. Agostino Faccin, che tutti chiamano «il Moro», la felicità la scopre da ragazzo, tra le montagne di casa, nell'esatto momento in cui capisce che piú sale di quota e piú il mondo gli assomiglia. Quando gli propongono di diventare il guardiano del nuovo rifugio sul monte Grappa, non ci pensa su due volte. Ma la Storia non ha intenzione di lasciarlo in pace, la Grande Guerra è alle porte, e quella vetta isolata dal mondo diventerà proprio la linea del fronte. Paolo Malaguti torna a raccontare la Prima guerra mondiale con gli occhi di un personaggio leggendario che, incredibile a dirsi, è esistito davvero. Da quando era poco piú di un bambino, il Moro ha una sola certezza: l'unico luogo in cui si sente al riparo dal mondo è tra i boschi di larici, i prati d'alta quota, e qualche raro alpinista... Cosí, quando gli danno in gestione un rifugio, sembra che la sua vita assuma finalmente la forma giusta. Ben presto in pianura si diffonde la fama di quell'uomo dai baffi scuri e la pelle bruciata dal sole, con i suoi racconti fantasiosi e le porzioni abbondanti di gallina al lardo. E in tanti salgono fin su per averlo come guida, lui che conosce come nessun altro quell'erta scoscesa di pietre bianche e taglienti. Ma quel rifugio è sulla cima del monte Grappa, e la Grande Guerra è alle porte. Lassú tira un'aria minacciosa: intorno al rifugio il movimento è frenetico, si costruiscono strade militari e fortificazioni, arrivano in massa le vedette, i generali, i soldati. E il Moro, che in montagna si sentiva al sicuro, assiste alla Storia che sfila sotto ai suoi occhi: nel 1918 il Grappa è la linea del fronte, un campo di battaglia che non tarderà a trasformarsi in un cimitero a cielo aperto e infine in un sacrario d'alta quota. Ma quando i fucili non fumano piú e le fanfare smettono di suonare, lui, il Moro, tornerà sulla sua cima, e davanti allo sfregio degli uomini cercherà il suo personalissimo modo di onorare la sacralità della montagna. Paolo Malaguti ci regala un'altra grande storia da un passato che non c'è piú, dando voce e corpo a un mondo perduto, e portandoci lassú a respirare un po' di libertà. «Soprattutto all'alba, quando la luce è piú morbida e la pianura si svela piú ampia, e con lo sguardo arrivi fino alla curva del mare lontano: allora ti viene liscio credere che la vita possa davvero essere tutta cosí, giornate di sole e pascoli verdi».
Moderators: Valentina Tosi
21 agosto 2022 alle 14:36
Ho letto ormai diversi libri scritti da Paolo Malaguti, un autore che alcune volte mi ha convinto, come nel caso di Prima dell’alba e di Sul Grappa dopo la vittoria, a mio avviso due autentici capolavori, e altre invece mi ha lasciato perplesso e mi riferisco in particolare a La reliquia di Costantinopoli e a I mercanti di stampe proibite; i primi due si svolgono durante la Grande Guerra e nei giorni immediatamente successivi, gli altri in epoche ben antecedenti. Forte di questa constatazione ho deciso di leggere anche Il Moro della cima, visto che la trama si sviluppa soprattutto durante il primo conflitto mondiale; brevemente è una biografia molto romanzata di un personaggio esistito veramente, tale Agostino Faccin, che tutti chiamano “il Moro” e la cui grande aspirazione è di salire di quota, di percorrere quelle montagne che svettano vicino a casa e in particolare una, la Grapa, l’odierno Grappa, per la quale ha una particolare e intensa venerazione. Vorrebbe che rimanesse sempre così, come era da tempo immemorabile, ma nell’economia della Grande Guerra la Grapa può diventare un forte baluardo atto a frenare e a impedire l’avanzata nemica ed ecco allora che vengono realizzate strade, scavate gallerie e trincee, insomma uno sconvolgimento di quel mondo che il Moro ritiene perfetto e in cui si sente realizzato. Sarà costretto dai militari ad andarsene, a scendere al piano, ma quando quella carneficina finisce ritornerà sulla cima e di fronte allo sconquasso provocato dalla guerra cercherà, in base alle sue possibilità, di rendere onore alla sacralità della montagna. Grosso modo la trama è quella a cui ho appena accennato e di per sé è interessante perché sono continui gli squarci storici e pure l’atmosfera di dolore e di morte è ben resa. Ho l’impressione, tuttavia, che la figura del Moro sia un po’ troppo caricata, cioè che l’autore abbia calcato un po’ la mano, anche se di personaggi così se ne possono trovare, uomini fieri, indipendenti, tesi continuamente a rivendicare e a difendere la loro personalità; la mia è una sensazione, che può anche essere sbagliata, e del resto il romanzo si fa ben valere per altri aspetti, per niente secondari, come anche il profondo rispetto per natura e soprattutto per la sua montagna, quella Grapa che Agostino sognava fin da bambino. E’ questa sorta d’amore che dona lustro all’opera, sono le descrizioni di un mondo eternamente incantato e che solo l’avidità dell’uomo può corrompere, sono le pagine in cui la prosa è soffusa da un alone di poesia, come nel caso della morte del cane che gli ha fatto a lungo compagnia quando il Moro gestiva il rifugio sulla cima, senza dimenticare che la tragedia della guerra con i suoi mutilati e i suoi morti viene anteposta ai risultati delle battaglie, un chiaro intento pacifista che non può essere che lodevole, perché rifugge dalla facile retorica. Aggiungo anche che la scrittura, priva di ampollosità, non poco contribuisce al piacere della lettura che mi ha deliziato in questi giorni di intenso caldo estivo, dandomi un ristoro dell’anima, perché pagina dopo pagina si avverte nel proprio intimo il sorgere di una gradevole dolcezza che allontana i brutti pensieri e che poco a poco conduce a quello stato di beatitudine che è proprio della serenità. Credo proprio che Il Moro della cima rientri fra i romanzi di Malaguti che mi hanno convinto e pertanto invito a leggerlo, perché lo merita.
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