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Di guerra e di noi
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Dòmini, Marcello <1965->

Di guerra e di noi

Marsilio, 2020

Abstract: E' la storia di due fratelli e copre l'arco di due guerre mondiali, correndo a perdifiato dal 1917 al 1945; comincia nelle campagne intorno a Bologna, e da lì non si sposta. Quando il marito non torna dalla Prima guerra mondiale, la madre dei due, ormai sola, è costretta a separarli. Il più grande, di nome Ricciotti, va a studiare in collegio a Bologna. Il più piccolo, Candido, rimane al mulino. Il collegio di Ricciotti è una scuola da ricchi, e la vita di Candido al mulino è una vita da poveri. Finiti gli anni avventurosi e duri del collegio, Ricciotti sarà segnalato per andare a lavorare nella neonata sede del Fascio di combattimento bolognese, dove incontrerà Leandro Arpinati, che diventerà suo mentore e amico. Candido resterà invece a lavorare nelle campagne frequentando sempre più quegli uomini e quelle donne che, col passare degli anni, andranno a formare le bande partigiane. Ricciotti però non è fascista, e Candido, d'altra parte, non è più di tanto interessato alla politica. Pensano entrambi a mandare avanti la famiglia, a proteggere la madre e i braccianti, pensano a correre dietro alle ragazze – donne avvolte di colori, nonostante partecipino e soffrano la guerra quanto gli uomini –, pensano a innamorarsi e poi sposarsi, e soprattutto a comportarsi bene quando molti intorno a loro, a causa della guerra, si comportano male. Come per Oskar Schindler, tuttavia, la grande occasione per trasformare la loro azienda agricola in un progetto onesto ma più ambizioso sarà proprio la guerra.

Moderators: Valentina Tosi

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Da un po’ di tempo in Italia si è scoperta la bellezza del romanzo storico, soprattutto quando a scriverlo è un italiano e relativamente a un periodo abbastanza recente, in particolare quello che va grosso modo dalla metà del XIX secolo agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Sono nate così opere più o meno interessanti che hanno aiutato e aiutano a cercare una verità storica, e in questi lavori si inserisce Di guerra e di noi, scritto da un medico-chirurgo, professore associato dell’Università di Bologna. Dico subito che si tratta di un romanzo molto avvincente, perché nel narrare la storia della famiglia Chiusoli, in particolare dei due fratelli Ricciotti e Candido, non solo vengono rappresentati eventi che vanno dalla Grande guerra alla fine della seconda guerra mondiale, ma soprattutto si denota il tentativo di tracciare la biografia di un importante rappresentante del fascismo, di quel Leandro Arpinati, dapprima ras di Bologna, poi membro del governo Mussolini, infine caduto in disgrazia tanto da essere inviato al confino, da cui venne liberato prima del tempo, per metterlo agli arresti domiciliari nella sua azienda agricola vicino al capoluogo emiliano. Se Ricciotti è il protagonista principale, Arpinati è il suo mentore, è quasi il suo padre putativo visto che quello vero è stato ucciso in guerra. In questo senso appare chiaramente come la figura di maggior prestigio rifletta le sue caratteristiche peculiari nel più giovane allievo che, in tono minore, ha un’esperienza analoga, passando dal credo fascista alla resistenza, senza però ricorrere alla violenza, ma prestandosi con il soccorrere i feriti. Ricciotti è quel che potrebbe essere definito un moderato e con questo si distingue dal primo Arpinati, il capo dei picchiatori fino alla marcia su Roma; tuttavia l’ex capo dello squadrismo bolognese è cambiato, maturando la consapevolezza degli errori commessi, al punto dall’essere disposto, nei giorni convulsi della liberazione, a essere processato e a scontare qualche anno di prigione, e ciò nonostante il suo tardivo ravvedimento che l’ha portato dopo l’8 settembre 1943 a rifiutare incarichi nella Repubblica Sociale Italiana offertigli da Mussolini e ad appoggiare invece la Resistenza, senza materialmente combattere. Sappiamo purtroppo come andò a finire, visto che fu assassinato da alcuni partigiani comunisti insieme al suo ospite da tempo, il socialista Torquato Nanni. Nel libro Ricciotti è presente all’omicidio e tenta di impedirlo, ma inutilmente, anzi restando ferito lui stesso ed è l’unico elemento di fantasia della ricostruzione fatta dal narratore, come del resto lo è tutta la famiglia Ricciotti, e anche altri attorii; però non pochi personaggi e molti eventi sono reali, nel senso che non sono inventati, ed è un merito di Dòmini l’avere inserito perfettamente il frutto della propria creatività nel tessuto storico che contraddistinse quel periodo, rendendo ancor più credibili i protagonisti di sua invenzione. Direi che come opera prima è riuscita molto bene e sono pochi gli appunti che mi sento di fare, come per esempio i periodi, anche lunghi, in dialetto bolognese (io lo capisco, ma per altri credo che risulti un po’ ostico), oppure la favola lunghissima, interminabile che Ricciotti racconta alla sera ai suoi figli e nipoti, atteggiamento comprensibile per fare dimenticare loro la guerra, meno comprensibile è non averne solo accennato, ma dedicato diverse pagine che insomma tendono a portare fuori tema.
A parte questi peccati, che mi sento di definire veniali, la creatività dell’autore, lo stile fluente, la capacità di ricreare l’ambientazione e le atmosfere sono veramente aspetti qualitativi di tutto rilievo che mi consentono di caldeggiare la lettura di questo romanzo.

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