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Einaudi, 2020
Abstract: 1944, Bologna sta vivendo il suo «inverno piú nero». La città è occupata, stretta nella morsa del freddo, ferita dai bombardamenti. Ai continui episodi di guerriglia partigiana le Brigate Nere rispondono con tale ferocia da mettere in difficoltà lo stesso comando germanico. Anche per De Luca, ormai inquadrato nella polizia politica di Salò, quei mesi maledetti sono un progressivo sprofondare all’inferno. Poi succede una cosa. Nella Sperrzone, il centro di Bologna sorvegliato dai soldati della Feldgendarmerie, pieno di sfollati, con i portici che risuonano dei versi degli animali ammassati dalle campagne, vengono ritrovati tre cadaveri. Tre omicidi su cui il commissario è costretto a indagare per conto di tre committenti diversi e con interessi contrastanti. Convinti che solo lui possa aiutarli.
Moderators: Valentina Tosi
5 ottobre 2021 alle 06:37
Bologna, dicembre 1944, gli alleati sono ormai alle porte, ma, complice l’inverno, preferiscono sospendere le operazioni, in pratica provvedono a svernare. Ma se sui crinali degli Appennini c’è quasi una tregua, peraltro non concordata, nella città capoluogo dell’Emilia si combatte ogni giorno per sopravvivere. Invasa dagli sfollati, che popolano la Sperrzone, il centro, sorvegliato dai soldati della Feldgendarmerie, fra animali di ogni genere, dai manzi alle galline, più che una città ha assunto le caratteristiche di una corte dei miracoli, con la popolazione che patisce la fame e il freddo, stretta nella morsa delle SS e degli irriducibili repubblichini (anche se più d’uno di questi sta già pensando di cambiare casacca), teatro della continua guerriglia urbana dei partigiani, Bologna è l’ombra di quella che fu. In questo ambiente e con questa atmosfera opprimente, entrambi resi benissimo dall’autore, troviamo il commissario De Luca, diventato vicecomandante della sezione politica, a cui viene affidato l’incarico, da parte di tre committenti diversi, di indagare su altrettanti omicidi. Ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli, perché in un momento storico come quello sarebbe già tanto risolvere un caso di omicidio, ma tre, e peraltro non collegati fra loro, sembrano, e sono, qualcosa di eccezionale tale da ricordare le mitiche fatiche di Ercole. Tuttavia, De Luca – ci si chiede però perché faccia parte della famigerata “politica” senza essere un fanatico e un violento – ritrova il piacere per le investigazioni, per scoprire i colpevoli di atti criminali non legati a opposte fazioni; si rimbocca le maniche e, con la collaborazione di terzi e con un po’ di fortuna, giunge a risolvere i tre casi. Nel frattempo, però, qualcosa in lui è cambiato, perché se prima era indifferente alle violenze a cui erano sottoposti i partigiani arrestati, ora vede le cose diversamente e si vergogna di essere corresponsabile, non torturatore, ma certamente colpevole di aver contribuito ad alimentare questa catena di orrore. Passerà dall’altra parte? O più semplicemente lascerà tutto e tutti per sprofondare nell’anonimato? Non ci è dato di sapere, perché il suo capo, alla fine, gli anticipa che smobiliteranno gli “uffici” per andare al Nord. E’ una conclusione che sinceramente mi ha spiazzato, perché lascia aperte le possibilità che ho elencato e c’è da augurarsi che Lucarelli, nel prossimo romanzo con protagonista De Luca, dia una risposta.
L’inverno più nero è diverso dai soliti polizieschi per il periodo storico in cui svolge la trama e questo è un altro pregio di un’opera senz’altro meritevole di lettura.
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