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Milano : Adelphi, 2002
Abstract: Di questo romanzo breve sulla mafia, apparso per la prima volta nel 1961, ha scritto Leonardo Sciascia: ... ho impiegato addirittura un anno, da un'estate all'altra, per far più corto questo racconto. Ma il risultato cui questo mio lavoro di 'cavare' voleva giungere era rivolto più che a dare misura, essenzialità e ritmo, al racconto, a parare le eventuali e possibili intolleranze di coloro che dalla mia rappresentazione potessero ritenersi, più o meno direttamente, colpiti. Perché in Italia, si sa, non si può scherzare né coi santi né coi fanti: e figuriamoci se, invece che scherzare, si vuole fare sul serio.
Moderators: Valentina Tosi
25 maggio 2021 alle 20:42
Basterebbe già lo sfolgorante incipit con quella corriera che sta per partire nella piazza di un paese siciliano, che anzi si avvia fra sussulti vari e poi si ferma perché il bigliettaio si accorge che un ritardatario richiama l'attenzione correndo; ecco, si apre la porta del mezzo, l'uomo vestito di scuro si appresta a salire, ma due colpi squarciati lo fermano un istante a mezz'aria e infine lentamente, quasi al rallentatore, il corpo finisce per afflosciarsi.
Dico basterebbe, perché la scena è talmente viva che sembra di essere presenti, lì in un'alba livida con le sfilacce di nebbia, e questo non è che l'inizio di un romanzo che avvince, costringe il lettore a convivere con i personaggi, a respirare l'aria di paura, ad annusare il pericolo a ogni svolta, immerso nell'atmosfera quasi rarefatta della realtà di un'isola soffocata e dominata dalla mafia.
La scrittura di Sciascia volutamente tralascia il superfluo, è essenziale, precisa, ritaglia i protagonisti con la precisione di un bisturi nelle mani di un chirurgo estetico. Nulla è lasciato al caso e tanto meno al compiacimento, affinché l'atmosfera sia resa nel modo più esatto possibile.
Le pagine scorrono, le dita le girano impazienti e anche intimidite; il viaggio all'interno di un inferno di apparente normalità è quanto di più grande al riguardo sia mai stato scritto.
Fantasia, invenzione? Certamente, ma è un castello costruito su elementi oggettivi, su situazioni presenti, dove cambiano solo i nomi, magari anche gli eventi, ma la sostanza resta e con essa quel patema d'animo che prende chi si appresta a diventare vittima, chi riesce a mettere le mani sui colpevoli, con la certezza che, nonostante le prove, questi non espieranno mai le proprie colpe.
Tutto questo in un mondo che pare in preda al torpore, dove un capo mafioso si ritiene membro di un ordine cavalleresco, quasi un paladino al punto di tributare al suo avversario investigatore l'onore delle armi, considerandolo degno di essere chiamato uomo per la sua onestà, la sua correttezza, per essere in pratica un nemico che sta vincendo una battaglia, pur consapevole di perdere tutta una guerra.
Ci sono i legami con la politica, per non definirli addirittura, più che convivenze, identificazioni, c'è tanta amarezza nelle figure di chi è chiamato al dovere di servitore dello stato e che lo pratica fino in fondo, fra mille difficoltà, continui ostacoli da parte di esponenti di quello stesso stato per il quale lui si sacrifica.
Il romanzo di per sé è un capolavoro, ma ha anche un pregio di carattere storico, perché è uscito in un'epoca in cui il governo negava esplicitamente che esistesse la mafia, definiva certi omicidi come frutto sì della malavita, ma non di una struttura sorta come un'istituzione dentro allo stato e in antitesi allo stesso, e ciò nonostante l'evidenza dei fatti, a chiara dimostrazione che la cupola dell'organizzazione non stava a Palermo, ma a Roma.
Dal 1960, quando fu scritto questo romanzo, sono passati quasi dieci lustri, ma purtroppo è rimasto di drammatica attualità.
Da leggere, perché è stupendo e perché si sappia veramente che cos'è la mafia.
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