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Mondadori, 2017
Abstract: Da José Arcadie ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent'anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile. Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e un'inarrestabile fantasia, Gabriel Garcia Màrquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell'esistenza umana. In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili. Pubblicato nel 1967, scritto in diciotto mesi ma meditato per più di tre lustri, Cent'anni di solitudine rimane un capolavoro insuperato e insuperabile, un romanzo tra i più amati di sempre.
Moderators: Valentina Tosi
9 febbraio 2021 alle 08:40
José Arcadio Buendia, capostipite di una stirpe numerosa, lascia il villaggio in cui è nato per sfuggire a un fantasma da cui è continuamente perseguitato. E così, dopo un lungo e avventuroso viaggio in compagnia della moglie, nonchè cugina Ursula, incinta del primo erede e terrorizzata per i vincoli di familiarità che la legano al marito e dalla possibilità di partorire un bimbo con la coda di maiale, arriva in una località in cui fonderà un paese felice, dove nessuno era più vecchio di trent’anni e dove non era mai morto nessuno. Lì a Macondo, il nome dato al paese, nasce Aureliano, senza coda di maiale, il primo a vedere la luce in quella località e che in futuro diventerà un colonnello leggendario, alla guida di una rivoluzione liberale in cui combatterà 32 guerre, perdendole tutte, e che finirà i suoi giorni nel suo laboratorio a fabbricare pesciolini d’oro, per poi rifonderli e ricominciare da capo, in perfetta sintonia con la caratteristica della dinastia di fare per disfare.
Questa è, per sommi capi, la trama del più famoso romanzo di Gabriel Garcia Marquez, un intreccio in cui sogno e realtà si confondono e si fondono, con un’atmosfera fiabesca calata in un mondo che ben conosciamo essendo il nostro, un mondo in cui ogni cosa appare al contempo normalissima e prodigiosa.
E’ un aspetto questo che secondo me molto ha contribuito al successo di un romanzo che non si esaurisce in una originale, stilisticamente, coesistenza di prosa e poesia, perché in realtà si presta a più piani di lettura. Al riguardo basti pensare che la saga dei Buendia può essere vista in chiave allegorica come una rappresentazione dell’umanità con richiami perfino ad atmosfere dell’Antico Testamento. Infatti, il paese di Macondo alle sue origini, in cui nessuno moriva e nessuno in pratica invecchiava richiama molto il Paradiso terrestre e Josè Arcadio Buendia, divorato dalla sete di conoscere, potrebbe essere benissimo Adamo, e del resto la fine di questo Eden ha un che di apocalittico da richiamare quasi il Giudizio universale. Io tuttavia amo un’altra interpretazione di questo romanzo per via dei nomi dei vari José Arcadio e Aureliano che si ripetono molteplici volte, tanto da ingenerare confusione, ma a significare una circolarità dell’opera e in pratica del destino e della vita. Tutto si ripete, un mondo di nascite e di morti, in cui piccole fiammelle di vita brillano per un istante nell’eternità, per poi spegnersi al primo soffio, e nella moltitudine di esseri umani accomunati da un unico destino prevale immutabile solo una condizione, quella della solitudine. Pur in mezzo a tanti, pur nei rapporti inevitabili, ognuno è e sarà sempre solo, in ogni luogo, in ogni epoca, perché quello è il suo destino.
Cent’anni di solitudine è indubbiamente un romanzo suggestivo, ma è anche un capolavoro per quel che dice e per come lo dice.
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